Italia Bio in Sardegna con una mission precisa: sostenere la conversione al biologico attraverso il sostegno di parte pubblica e il potenziamento dei distretti del cibo in chiave Bio Slow nella logica dei valori altri del bio che si rifanno all’approccio olistico nell’uso delle risorse e dei processi produttivi per incentivare il percorso di economia solidale, territoriale e circolare, già avviato nell’Isola. Tutto ciò che è utile, dunque, alla creazione di comunità sostenibili solidali e conviviali.
«La Sardegna – afferma Lillo Alaimo Di Loro, presidente di Italia Bio – è un’Isola straordinaria anche dal punto di vista dell’agricoltura biologica: malgrado abbia soltanto il 10 per cento di superficie agricola utilizzabile certificata in biologico, per una superficie bio di 132 mila ettari (rispetto a una SAU di 1 milione 143mila ettari), mostra un grandissimo potenziale: è suscettibile per almeno il 90 per cento a essere certificata Bio con una certa facilità. L’Isola, infatti, è la regione dove si concentra il 40 della consistenza ovina nazionale e dà vita al modello pastorale di gestione di zootecnia tra le più antiche e sostenibili del mondo che si sviluppa su circa 1 milione di ettari di superficie foraggera, tra pascoli permanenti (724mila ettari) e prati pascoli (233mila ettari). Tra le altre colture della ricca agricoltura sarda, 69mila ettari di cereali, 38mila ettari di oliveti, 26mila ettari di uva da vino. Tutte colture che con grande facilità possono essere convertite al biologico. La Sardegna, che comunque è attualmente la settima regione italiana per superficie biologica certificata, diventerebbe la prima, superando anche la Sicilia che in atto vanta quasi il 30 per cento di superficie certificata. È, dunque, evidente che proprio la pastorizia gioca un ruolo fondamentale nel processo di creazione della “grande isola biologica”.»
Ad oggi il costo di certificazione pone un grosso limite per l’attuazione di tale piano, visto che nell’attuale sistema di parte terza ricade interamente sui produttori.
«Una delle prime proposte di Italia Bio – prosegue Alaimo Di Loro – riguarda proprio il costo di certificazione biologico che non deve gravare sulle aziende ma sulla parte pubblica. Gli agricoltori bio sono da tempo in prima linea assicurando il massimo contributo in termini di riduzione delle emissioni climalteranti e riduzione dell’impronta ecologica del cibo. Non è pertanto ammissibile che i “contadini virtuosi” siano gravati dell’onere della certificazione: nella media delle aziende biologiche della Sardegna incide per azienda da 600 a 1.200 euro e, per le 2000 aziende attualmente certificate, corrisponde ad un costo di circa 2 milioni di euro annualmente sottratti dalle tasche delle aziende che così frenano il processo di conversione generalizzato dell’agricoltura sarda, soprattutto se esteso al comparto ovino. Nell’ipotesi di una adesione generalizzata al modello biologico, in attuazione per altro agli obiettivi previsti dall’Agenda 2030, includendo massicciamente l’allenamento ovino, si tratterebbe di una spesa che potrebbe superare i 10 milioni di euro mentre, lasciati nelle tasche delle imprese, darebbero un grossissimo contributo ambientale alla comunità. Senza contare l’impatto positivo in termini di marketing territoriale. In tal senso Italia Bio ha già intrapreso una serie di attività e di interlocuzioni. A cominciare dal sostegno dal processo per l’istituzione di distretti del cibo, avviato in Sardegna mediante il progetto Bio Slow, con lo spirito di creare virtuosi processi di comunità per recuperare e valorizzare risorse utili a orientare l’economia verso una direzione di solidarietà territoriale. Per Italia Bio è, inoltre, necessario riconoscere ai contadini il giusto merito per il loro impegno, perché svolgono una fondamentale azione di presidio del territorio isolano rendendo le aree rurali meno permeabili alla chimica.»