A tutti voi, cari Amici e Amiche che vivete con entusiasmo, con impegno e (forse) con un po’ di preoccupazione questo inizio della Scuola, desidero far giungere un ricordo affettuoso e un augurio cordiale.
Accingendomi a scrivervi queste righe di saluto e di augurio, non ho potuto fare a meno di oltrepassare la soglia di una splendida, ricchissima e sempre generosa amica: l’etimologia.
Ritornare alle origini, anche dei termini più usati, giornalieri e perciò, talvolta, “scontati” e quasi logori, aiuta a scorgere una luce nuova, un guizzo di inedito, una comprensione ulteriore.
L’etimologia dei termini aiuta a intravedere il loro cuore ardente, la loro forza inesausta, la loro perenne attualità.
Penso al vocabolo che, più di tutti, è comprensivo di tutto ciò che voi vivete e abitate: scuola. Deriva dal greco σχολή, che originariamente significava “libero e piacevole impiego delle proprie forze”, soprattutto interiori, indipendentemente da ogni bisogno, scopo pratico ed utilità. Per il mondo latino era otium: un tempo libero dalle occupazioni della vita sociale e politica; tempo che poteva essere dedicato agli studi, alla conoscenza, all’apprendimento senza altri “fastidi” o impegni. Solo più tardi indicherà anche un luogo fisico dove ci si impegna nello studio.
Scuola, quindi, dove l’accento non è tanto sull’utilità pratica, “finalizzata” dello studio, sulla sua necessaria obbligatorietà quanto, piuttosto, sulla libertà e la piacevolezza di questa attività e sulla dimensione interiore, sulla sua intima connessione con le motivazioni profonde, esistenziali, spirituali del cuore. Scuola come tempo dedicato alle cose amate, desiderate, appassionanti. Scuola come filosofia, come amore del conoscere e del sapere, come acconsentimento e compimento di ciò che si ama, come tempo liberato per ciò che si predilige.
Oggi, soprattutto, nelle nostre latitudini, la Scuola è vissuta più come obbligo che come diritto, più come imposizione che spazio di crescita appassionata attraverso cose amate e stimate e, perciò, difese. Credo, quindi, che il primo impegno della Scuola oggi – anzi la prima vera, improcrastinabile riforma scolastica – sia quello di riuscire a recuperare il significato originario della parola scuola come scholè e della parola studenti come filosofi. Dobbiamo restituire alla scuola il suo autentico e ineludibile significato di scholè, luogo dell’otium, in cui si vive l’amore del sapere.
E’ chiaro che non si può obbligare nessuno ad amare il sapere, ad essere filosofo, innamorato della sapienza, proprio perché lo studio è amore e non dovere: nessuno può obbligare a studiare così come nessuno può obbligare ad amare! Platone l’aveva enunciato con chiarezza a chi si cimentava nell’ardua arte dell’insegnare: “Non devi iniziare gli alunni allo studio con la forza della costrizione, ma come se giocassero, così che tu possa meglio comprendere le tendenze e le inclinazioni di ciascuno”.
Fare Scuola, significa per i docenti saper fare innamorare gli studenti, farli diventare filosofi per farli diventare umani, preferendo movenze “socratiche”, capaci di introdurre nella ricerca, nella scoperta, nella costruttività creativa, aiutando a partorire più che ad affibbiare pacchetti preconfezionati di saperi, di nozioni, di regole. Ma si sa: per indurre altri ad amare occorre amare, essere innamorati. Il matematico e filosofo Federigo Enriques, da par suo, raccomandava: «Se il nostro pensiero e le nostre parole debbono muovere l’attività del discepolo, bisogna che qualcosa di vivo che è in noi passi nello spirito di lui come scintilla di fuoco ad accendere altro fuoco».
Fare Scuola, significa per chi è studente, sapersi fidare e affidare, lasciarsi contagiare dalla bellezza, lasciarsi con-vincere da ciò che è buono, appassionarsi per la verità, perché “la verità vi farà liberi” (Giovanni 8,32). Soprattutto, fare Scuola, per uno studente, è integrare e integrarsi: la forma più alta di apprendimento è quella che conduce ad un presente e ad un futuro insieme, ad una storia condivisa, dove la propria storia e il potenziamento di se stessi diventa storia vera e un “di più” di vita solo quando si sguscia fuori dal proprio striminzito cerchio magico e si incomincia a dar spazio ad altro-da-sé.
Fare scuola, per docenti, studenti e genitori ma per l’intera società, è crescere nella consapevolezza condivisa di ciò che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) trent’anni orsono (1993), consegnava alla riflessione comune: favorire, in ogni modo, l’apprendimento di alcune “competenze per la vita/Life Skills” che portano a comportamenti positivi e di adattamento che rendono l’individuo capace di far fronte efficacemente alle richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni. Le competenze per la vita rendono la persona capace di trasformare le conoscenze, gli atteggiamenti ed i valori in reali capacità, cioè sapere cosa fare e come farlo. Dieci le competenze fondamentali: consapevolezza di sé; gestione delle emozioni; gestione dello stress; comunicazione efficace; relazioni efficaci; empatia; pensiero creativo; pensiero critico; prendere decisioni; risolvere problemi.
Vi auguro di vivere la Scuola come luogo che favorisca e faciliti l’apprendimento libero, piacevole e appassionato, prendendosi vicendevolmente cura dell’educazione di tutte e di ciascuna persona. Uno spazio vitale che aiuti ogni singola persona a divenire consapevole e a disvelare pienamente il proprio potenziale di unicità e di irripetibilità in tutte le sue dimensioni.
Di cuore, a tutti: buon anno scolastico!
*Vescovo di Alghero-Bosa