Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari è il nuovo Segretario Generale della Conferenza Episcopale Italiana. Lo ha nominato Papa Francesco dopo che il suo predecessore, mons. Stefano Russo, ha preso possesso della Diocesi di Velletri – Segni.
E’ una giornata importante per la Chiesa Sarda che riempie di gioia tutta la comunità.
È a tal proposito, che fresco di nomina, abbiamo intervistato mons. Giuseppe Baturi, per conoscere e sapere quali sono le sue considerazioni rispetto al suo nuovo incarico.
Mons. Giuseppe Baturi, cosa ci dice di questo nuovo incarico?
«Ho accolto fin da subito questa “Chiamata” con gioia e gratitudine, prima di tutto verso Papa Francesco, che ha rinnovato la Sua fiducia nei miei confronti. Leggo la mia nomina come un’opportunità non soltanto per la Diocesi di Cagliari, della quale sono Pastore, ma anche per la Chiesa Sarda in generale. Ricordo le parole del Santo Padre al Convegno ecclesiale di Firenze del 2015: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza.
Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà.»
Una sua riflessione sulla situazione italiana, sull’attuale crisi che ha prodotto crescenti divari sociali, laddove gli ultimi spesso vengono tenuti ai margini della società, situazione di crisi aggravata ancor più dal conflitto bellico in Ucraina.
«La Pandemia prima e la guerra in Ucraina ora, ci hanno reso impotenti. La gestione del futuro, anche quello più immediato, sembra essere dominata dalla fragilità e vulnerabilità dell’uomo. Si impone, dunque, la necessità di organizzare grandi reti nazionali, capaci di interloquire con il potere istituzionale pubblico, al fine di suggerire soluzioni. Diventa fondamentale reinventarsi, favorire nuove forme di socialità, che vadano oltre lo scambio di beni e che mirino al riconoscimento della persona in toto, valorizzando la logica del dono gratuito come elemento fondante anche dei rapporti sociali.»
Gli appelli di Sua Santità Papa Francesco per la fine del conflitto non sono stati recepiti e la Chiesa è chiamata a svolgere un ruolo determinante. Lei crede che con l’aiuto del Signore si riuscirà ad arrivare alla Pace?
«Si tratta senza dubbio di un tema delicato. La Pace è un dono di Dio, ma è affidata agli uomini e la situazione suscita angoscia e dolore, oltreché la più ferma condanna. Siamo dinanzi ad uno scenario dove si assiste ogni giorno ad una progressiva attuazione di gravi atrocità. Crudeltà sempre più orrende, compiute in questi mesi anche contro civili, donne e bambini inermi. Il dolore presente si somma inoltre alla preoccupazione già avvertita per il futuro, tempi di ricostruzione materiale e spirituale. La nostra fede, la carità delle nostre mani sia un argine al male degli uomini. Dobbiamo lavorare per costruire spazi aperti al dialogo e azioni quotidiane che mirino a costruire la Pace.»
Armando Cusa