Le strutture di culto nuragiche erano legate tra loro dai cicli solari che guidano le stagioni. Gli sviluppi di quest’affascinante teoria che porta anche in questa edizione a nuove scoperte è stata esposta durante l’undicesimo Convegno di archeoastronomia “La misura del tempo”, tenuto a Sassari, alla Fondazione di Sardegna, venerdì 25 novembre, organizzato dalla Società Astronomica Turritana e dal Circolo Aristeo. È noto che gli antichi considerassero il Sole e gli astri per orientarsi nello spazio e nel tempo e in Sardegna sono presenti importanti testimonianze di questo tipo: tra queste il tempietto di Malchittu, in Gallura, particolarmente interessante perché costruito in una zona impervia, insolitamente elevata e isolata. Come hanno spiegato Michele Forteleoni della SAT e Simonetta Castia (Aristeo), l’edificio sacro è costruito lungo l’asse nordovest-sudest e con ingresso orientato esattamente all’alba del solstizio d’inverno. Allineato verso il sorgere della stella Sirio è invece il tempio di Sa Carcaredda, in Ogliastra. Altrettanto importante è il legame astronomico che parrebbe unire alcuni templi nuragici edificati presso i complessi archeologici di Serra Orrios (Dorgali), Romanzesu (Bitti), S’arcu ’e is forros (Villagrande Strisaili) e che si ripete anche nel complesso archeologico di Oes, a Torralba. Secondo i rilevamenti effettuati, tra il tempietto 2 di Oes e le vicine aree del nuraghe Oes e di Paule s’ittiri gli orientamenti reciproci corrispondono rispettivamente ai solstizi d’inverno e d’estate.
Saper interpretare i solstizi e gli equinozi era fondamentale per l’agricoltura, come per esercitare il culto e, spesso, chi teneva il conto “ufficiale” dei giorni era in qualche caso considerato una figura sacerdotale. Durante il convegno sono stati illustrati casi in cui, in tutto il mondo, l’orientamento degli edifici è chiaramente ispirato al sorgere del sole in determinati periodi dell’anno, come il tempio di Amon-Ra in Egitto, illustrato dall’archeologa Marina De Franceschini, o il santuario etrusco di Diana Tifatina a Capua, dedicato alla dea della luna, come spiegato da Ilaria Cristofaro dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”. Per misurare il tempo nell’antichità, senza gli strumenti disponibili oggi, venivano utilizzate le stelle e la proiezione del sole sul terreno: esemplificativi, ha detto Alberto Scuderi (Gruppi archeologici d’Italia), i casi di Marettimo, nelle isole Egadi, ed Ejanina, in provincia di Cosenza, dove sono stati scoperti dei piccoli menhir strategicamente posizionati in modo tale da permettere il succedersi delle stagioni. Una riprova ulteriore che, come ha ricordato l’astronomo Elio Antonello citando Platone, abbiamo imparato a contare seguendo i giorni e da quel momento è nato lo studio dell’aritmetica, che ha poi originato quello della geometria, quindi la filosofia e le scienze umanistiche.
Numeri e misure sono stati al centro degli interventi di Marcello Ranieri (Inaf di Roma) che ha riportato la precisione pitagorica in alcune stele egizie e di Flavio Carnevale e Marzia Monaco dell’Università “La Sapienza” di Roma che hanno condotto rilievi metrici nel sito di Romanzesu, a Bitti, evidenziando come nell’antichità venissero adottate, analoghe unità di misura. Ma che le stelle fossero intimamente legate alla vita dell’uomo l’hanno ricordato anche Paolo Colona dell’Accademia delle stelle di Roma che ha parlato del mito di Orione e Alberto Cora dell’Inaf di Torino, che ha parlato di possibili schemi celesti riguardo ad alcune tipologie di coppelle presenti in diversi contesti monumentali.
L’incontro è stato diviso in due sessioni: la prima moderata dal giornalista Pier Giorgio Pinna e la seconda, pomeridiana, da Elio Antonello. L’evento è stato possibile grazie al patrocinio e il sostegno della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna, il patrocinio del comune di Sassari e dell’Università turritana.