Aiutare a migliorare la relazione con un figlio autistico attraverso il gioco e quindi la formazione di genitori, insegnanti e operatori che ruotano intorno alla vita del bambino. Sostenere i genitori per cercare di capire i fattori che scatenano i cosiddetti comportamenti problema e provare a prevenirli. Quindi interventi sistematici nel contesto di vita del piccolo paziente e modalità di comunicazione che il genitore, attraverso la formazione, offre al figlio con obiettivi precisi e sotto la supervisione degli specialisti che lo affiancano.
È questa la terapia mediata genitoriale (tmg), un modello sperimentale denominato “Autismo in ReTe”, introdotto e portato avanti da circa un anno e mezzo dall’Aou di Sassari in collaborazione con l’Istituto ReTe e l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma e finanziato da EnelCuore e dalla Fondazione di Sardegna.
I risultati di questo modello sostenibile rivolto a 25 piccoli pazienti con disturbo dello spettro autistico del nord Sardegna, sono stati presentati durante un convegno che si è svolto il 4 aprile dal titolo “Autismo in ReTe. Uno sguardo al futuro attraverso la terapia mediata genitoriale”.
«Siamo orgogliosi di questo progetto perché lo abbiamo portato avanti con successo e nei tempi giusti», ha affermato all’apertura dei lavori Stefano Sotgiu, direttore della Neuropsichiatria infantile dell’Aou.
Dopo i saluti istituzionali in cui sono intervenuti Gavino Mariotti, Magnifico Rettore dell’Università di Sassari, Giovanni Sotgiu, preside della facoltà di Medicina e Luigi Cugia, direttore sanitario dell’Aou di Sassari, il convegno si è sviluppato in due sessioni.
La prima è stata dedicata al valore del gioco, alla valenza scientifica della terapia mediata genitoriale e all’importanza degli interventi comportamentali nel disturbo autistico. La seconda parte del convegno ha avuto come protagonisti i genitori e gli operatori che hanno lavorato con le famiglie.
«La tmg sta diventando uno degli approcci scientificamente più interessanti per quanto riguarda la presa in carico dei bambini con autismo. Ci sono degli studi che dimostrano l’efficacia con effetti a lungo termine che evidenziano come una terapia mediata dai genitori possa avere subito degli effetti sui genitori modificando il loro stile di interazione con i bambini», ha affermato Giovanni Valeri, responsabile dell’Unità operativa per i disturbi dello spettro autistico dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma che è intervenuto in videoconferenza.
«Abbiamo iniziato con la terapia mediata genitoriale nel settembre del 2022, quando mio figlio aveva 4 anni e mezzo. Diego (nome di fantasia) non sapeva giocare, urlava e lanciava gli oggetti. Grazie alla terapista che affiancava me e mio marito, abbiamo imparato a interagire meglio con nostro figlio attraverso il gioco e anche noi abbiamo imparato a giocare con lui.»
È la testimonianza di una giovane madre che con emozione, ma con altrettanta determinazione è intervenuta all’iniziativa.
Il gioco è un’attività che può sembrare semplice perché in genere si svolge liberamente.
«Il gioco è uno strumento fondamentale nella costruzione della relazione con il bambino ma spesso nei bambini autistici rappresenta un problema – ha affermato Ica Manca, neuropsichiatra infantile della Asl di Sassari e una delle principali esperte di autismo in Sardegna -. La sfida della tmg è quella di rendere i genitori partecipi della produzione di abilità sociali attraverso il gioco.»
Alessandra Carta, neuropsichiatra infantile dell’Aou di Sassari, ha illustrato i risultati preliminari e gli indici di gradimento delle famiglie e degli operatori coinvolti.
«Abbiamo somministrato un questionario alle famiglie e in generale possiamo dire che c’è stato un miglioramento delle competenze sociocomunicative e un miglioramento dei problemi emozionali dei bambini. La quasi totalità delle famiglie ha portato a termine il trattamento. Alla terapia hanno partecipato per la grande maggioranza entrambi i genitori e tutti hanno ritenuto utili gli incontri svolti – ha spiegato la ricercatrice sassarese -. Possiamo rilevare che c’è stata un’elevata soddisfazione per la sensibilità e la competenza degli operatori che li hanno affiancati e perché grazie al gioco è migliorata la loro capacità di interagire con i propri figli».
“Autismo in rete” è un modello che «potrebbe abbattere le barriere in un contesto sociale dove le disuguaglianze sono sempre più evidenti. Abbiamo deciso di sostenere questo progetto perché i trattamenti comportamentali precoci sono molto onerosi e in Italia si stima un costo per individuo di circa 1.000 euro al mese – ha detto Elisabetta Murgia, project manager di Rete per il sociale -. La Sardegna ha fatto da apripista per un modello che ha dato dei risultati promettenti e che vorremmo esportare anche nel sud della penisola».