«Una condanna tanto importante quanto emblematica per i processi sui casi di violenza di genere in Italia, da tempo al centro del giudizio critico della Corte Europea dei Diritti Umani.»
Così Carmìna Conte, presidente di Coordinamento3 Donne di Sardegna, commenta la sentenza emessa lunedì, in primo grado, dal giudice Marco Mascia del Tribunale di Oristano, che ha condannato un imprenditore responsabile delle violenze sull’ex moglie e i due figli, difesi dall’avvocata Cristina Puddu. Dovrà scontare 3 anni e 10 mesi, con un aumento di pena rispetto alla richiesta della PM Daniela Caddeo, che chiedeva una condanna più lieve, a 2 anni e 6 mesi.
«Un fatto tanto esemplare, quanto inconsueto nel sistema giudiziario italiano, che tende nella generalità dei casi ad “alleggerire” la pena per questo genere di colpe, fino a renderla insignificante o peggio ad annullarla», commenta Carmina Conte.
Per Pupa Tarantini, presidente onoraria di Coordinamento3, presente ieri in aula con Susanna Galasso a sostegno delle vittime, «è una pena significativa, in linea con lo spirito e le indicazioni del Codice Rosso, introdotto con la legge 69 del 2019, e quindi anni dopo i fatti contestati».
Un traguardo raggiunto grazie ad anni di battaglie delle associazioni contro la violenza di genere.
«La Corte Europea per i Diritti Umani, nel 2022, ha condannato per la quarta volta l’Italia per la sua inadeguatezza nella protezione delle vittime di violenza domestica», ha messo in rilievo Carmìna Conte. Ancora una volta i giudici di Strasburgo hanno stigmatizzato la difficoltà, anche culturale, del sistema giudiziario italiano nell’affrontare il fenomeno della violenza contro le donne e le sue conseguenze sui minori. Inoltre la Commissione Parlamentare d’inchiesta sul Femminicidio, già nel 2021, aveva rilevato che nelle condanne per femminicidio la pena più frequentemente inflitta è inferiore a 20 anni, a fronte del riconoscimento, in un terzo dei casi, di circostanze attenuanti.
«Ci auguriamo – hanno sottolineato Pupa Tarantini e Carmìna Conte – che questa sentenza non solo venga confermata nei successivi gradi di giudizio, ma che rappresenti un punto di riferimento nei tanti procedimenti giudiziari in corso per violenze di genere e femminicidio. Una speranza di giustizia per troppe donne intrappolate nella spirale della violenza e, spesso impossibilitate a denunciare l’inferno dentro casa.»