Il 23 maggio del 1992 veniva ucciso Giovanni Falcone con la moglie e la sua scorta, nell’attentato di Capaci. Quel giorno nefasto iniziò il calvario per Paolo Borsellino, lungo 57 giorni, in cui cercò di portare avanti l’instancabile lavoro, lasciato purtroppo in sospeso, del suo carissimo ed inseparabile collega-amico Giovanni Falcone. Il tempo era ormai limitato e sapeva di non poter lasciare nulla di intentato.
Era evidente che attorno a Paolo Borsellino si fosse creato un vuoto. Ancora oggi ci si chiede come sia stato possibile che attorno a Paolo Borsellino non siano state messe in atto tutte le iniziative rivolte alla sua sicurezza personale. Ci sono responsabilità?
Oggi, a distanza di 28 anni, è ancora grande la commozione per quello che è accaduto. La strage di via D’Amelio è stata preparata accuratamente dalla mafia e lo stesso Paolo Borsellino era al corrente che era già pronto il tritolo che sarebbe servito per farlo saltare in aria.
La domanda che ci si pone è sempre la stessa: «Chi era al corrente, perché non ha protetto Paolo Borsellino?»
28 anni, evidentemente, di silenzi, non sono serviti, un silenzio assordante è calato ed ancora oggi troppi misteri aleggiano attorno a queste vicende.
I valori della legalità restano imprescindibili per uno Stato democratico!
Non dobbiamo mai dimenticare Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta che hanno perso la vita in via D’Amelio: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosima e Claudio Traina.
Armando Cusa