I dati della campagna di produzione 2023-2024 del Pecorino Romano DOP registrano risultati ottimi, che restituiscono ai mercati un forte segnale di stabilità e fissano premesse incoraggianti per il futuro, sia in Italia che all’estero. Nell’ultima campagna sono stati raccolti 297 milioni di litri di latte ovino, in incremento rispetto all’anno precedente dell’11,56%. Di questi, 229 milioni di litri (il 77%) sono stati trasformati in Pecorino Romano DOP, per una quantità pari a 392mila quintali: un dato in crescita «Nonostante l’aumento di produzione, il Pecorino Romano verrà assorbito senza problemi dal mercato, grazie anche a un aumento di richiesta da parte degli Stati Uniti, dove ci sono ancora spazi importanti di crescita e dove la domanda è cambiata rispetto al passato, in quanto la destinazione finale non è più solo quella industriale ma anche il retail: oggi non esiste catena di distribuzione che non proponga il Pecorino Romano e questo è un aspetto molto positivo, perché significa che il prodotto è riconosciuto e richiesto dal consumatore, che cerca la Dop e non si accontenta di alternative», dice il presidente del Consorzio di tutela, Gianni Maoddi.
«Si sono, dunque, rivelate infondate le preoccupazioni espresse da qualcuno a metà campagna, quando l’aumento di produzione poteva far pensare a un eccesso produttivo: non è stato così, e i numeri ufficiali lo certificano. Le produzioni e i mercati sono esposti a mille variabili, e dunque la nostra prudenza era e rimane giustificata.»
Cresce anche il mercato nazionale, dove il Pecorino Romano viene distribuito per una quantità pari al 40% della produzione. «In Italia il nostro formaggio sta vivendo una stagione davvero molto felice, riscoperto come prodotto non solo irrinunciabile per i piatti tipici, dalla Carbonara alla Amatriciana, dalla Cacio e Pepe alla Gricia, ma anche come prodotto da gustare in purezza, protagonista di antipasti e aperitivi, fondamentale per il mercato di salse e condimenti, con una domanda in crescita anche da parte dei più giovani.»
Se il mercato nazionale assorbe il 40% del prodotto, in quello americano ne viene distribuito il 35%, in Europa il 16% e nel resto del mondo il 9%.
Tornando agli Stati Uniti, da gennaio a luglio 2024 c’è stato un aumento di vendite del 25,6%, per una quantità totale di quasi ottantamila quintali (63mila nella campagna precedente), dunque con un incremento di circa 17mila quintali.
«Questo risultato è dovuto alla stabilizzazione dei prezzi che si sono avuti durante questa campagna e da una maggiore disponibilità di prodotto – analizza Gianni Maoddi -. Dopo i picchi registrati lo scorso anno fino a 14-15 euro al chilo, il prezzo di mercato si è attestato intorno ai 12,5 euro: cosa che ha favorito un aumento della domanda. Questo dimostra che, se i prezzi sono troppo alti, rischi di uscire dal mercato, in quanto il consumatore che non ha grandi disponibilità cerca subito alternative. Non solo: la stabilità riporta un messaggio rassicurante all’intero comparto e ai mercati, garantendo così risultati migliori: nei primi sei mesi del 2024 infatti, nonostante il prezzo più basso, il valore totale di cui ha goduto la filiera è stato maggiore rispetto alla campagna precedente, perché si è venduto di più.»
Restando agli Usa, l’elemento al momento preoccupante è la possibilità di reintroduzione dei dazi, possibilità ventilata da entrambi gli schieramenti in campo per le elezioni presidenziali, come già successo in passato. «E’ un rischio concreto, quindi è una ipotesi che dobbiamo purtroppo prendere in considerazione, anticipando eventuali strategie e attivandoci attraverso attività di lobbying sulla politica americana. Ovvio che i dazi portano disagi e mettono fortemente a rischio il comparto, basta pensare a quando, all’improvviso, non si è potuto più esportare in Russia, un mercato che cresceva ogni anno a doppia cifra e che aveva tutte le carte in regola per diventare il secondo mercato extra-europeo dopo gli Stati Uniti. Quindi – sottolinea Gianni Maoddi – siamo già al lavoro per non farci trovare impreparati ed evitare danni a un comparto fondamentale per l’economia della Sardegna e delle altre zone di produzione, il Lazio e la provincia di Grosseto, tutelando un formaggio che è uno dei simboli dell’agroalimentare italiano nel mondo.»
Stesso discorso per la Cina, dove al momento i numeri dell’export sono ancora bassi, 5.400 chili nel 2023 (nei primi sei mesi del 2024 +31% in quantità e +18% in valore) ma con un trend in crescita e dalle potenzialità praticamente sconfinate che sarebbe un peccato andassero vanificate dall’introduzione dei dazi.