«L’artigianato artistico, tipico e tradizionale della Sardegna si trova ad un punto di non ritorno in una situazione di una gravità senza uguali: il settore non si potrà salvare se non con interventi altrettanto straordinari e completamente nuovi.»
Peppino Mele, presidente della Cna Artistico e Tradizionale Sardegna lancia un appello alla Regione Sardegna e scrive all’assessore dell’Artigianato, Turismo e Commercio Gianni Chessa chiedendo un sostegno alle circa 400 aziende e i seicento addetti del settore.
«Le prospettive per i prossimi 15 mesi sono nefaste – scrive Peppino Mele -: è probabile che la stragrande maggioranza delle imprese non registri alcun incasso per oltre un anno, a prescindere dal fatto che l’attività riapra i battenti oppure no.»
Le circa 400 aziende del settore sono chiuse da settimane senza alcuna prospettiva per il futuro e con la stagione turistica, momento fondamentale per molte aziende, ormai irrimediabilmente compromessa. Come se non bastasse, il perdurare del divieto di assembramenti e di qualunque altra attività sociale comporterà la cancellazione fino a data da destinarsi di tutta una serie di eventi nazionali e internazionali, fiere, sagre e mercati locali, nonché di matrimoni, cresime, battesimi, prime comunioni paralizzando di fatto tutta la filiera dell’artigianato artistico e tradizionale.
Ma anche la cosiddetta “fase due”, quella di riapertura di laboratori di produzione e di vendita si prospetta se possibile peggiore di quella che stiamo vivendo da settimane.
«Non è ancora chiaro quali saranno le condizioni per operare, sia nei rapporti tra titolari e collaboratori dell’impresa, sia con i clienti – aggiunge il presidente della Cna Artistico e Tradizionale Sardegna -. Si pensi, per esempio a chi, soprattutto per certe tipologie di produzioni, ha sinora dato la possibilità al cliente di indossare o anche solo toccare, l’oggetto dell’acquisto come nel caso di gioielli, abiti, tessuti, accessori alla persona: mancano in commercio i dispositivi di sicurezza e nei rari casi in cui siano disponibili vengono centellinati e hanno costi improponibili. E, a questo proposito, non è chiaro quali saranno le procedure relative alla sicurezza e quali responsabilità ne derivino alle imprese, nello sciagurato caso di contagio di clienti, dipendenti o chiunque abbia a che fare con l’azienda.»
A quanto sopra detto, si aggiunge il fatto che molte imprese denunciano i mancati pagamenti, da parte dei loro clienti, di forniture pregresse che non erano state ancora saldate, al momento dell’arrivo della pandemia e che nulla hanno a che fare con la contingenza. Inoltre, c’è un problema di logistica che funziona a singhiozzo. «I pochi artigiani che lavorano in solitudine in un laboratorio che si trova tra le mura domestiche non riescono a ricevere materia prima o semilavorati – aggiunge Peppino Mele -. Stessa cosa dicasi per la vendita online che non sta funzionando con la puntualità di un tempo, di cui tuttavia, è diminuita la richiesta, che in ogni caso non rappresenta, per quanto importante, la soluzione ad un problema di dimensioni titaniche che, con molta probabilità, porterà una parte importante degli artigiani a cessare nel breve e medio termine, l’attività.»
Da qui l’appello della Cna sarda all’assessore Gianni Chessa.
«In assenza di un forte intervento di mano pubblica, un contributo in conto gestione, sarà impossibile superare un dramma destinato a dispiegare i suoi effetti per almeno un altro anno – afferma Peppino Mele -. Le chiediamo di farsi carico di questo problema, ricordando che le imprese dell’artigianato artistico, tipico e tradizionale non sono solo una realtà importante in termini economici. Sono soprattutto il miglior biglietto da visita che la Sardegna vanta. Sono la più autentica espressione della storia, dell’identità e della tradizione del nostro popolo. Realizzano oggetti antichi che richiamano il nostro passato e il nostro presente e che sono una speranza di lavoro per il futuro. Queste imprese coltivano e tramandano un patrimonio immateriale unico al mondo. La loro chiusura – tutt’altro che ipotetica in questa fase storica – significherebbe consegnare le nostre migliori produzioni tradizionali a Paesi stranieri dove a basso costo e senza cura alcuna verrebbero realizzate cineserie o patacche similsarde, che si tenterà poi di vendere come fossero prodotti locali originali – conclude Peppino Mele -. Questo fenomeno già tristemente diffuso non troverebbe da domani contrapposizione alcuna.»