Un intellettuale innamorato della sua terra d’origine, culla di una variante tra le più espressive di una lingua, quella sarda, alla quale era riuscito a restituire valore accademico. Antonio Sanna era anche profondamente affascinato dalla cultura vedica che aveva scoperto in India, prigioniero di guerra degli inglesi. Sono tanti gli aspetti che contraddistinguono la figura di questo bonorvese illustre, classe 1918, la cui statura è stata ricordata sabato scorso a Bonorva in un incontro molto partecipato, organizzato dall’Istituto Camillo Bellieni di Sassari assieme all’Amministrazione comunale e in collaborazione con la Pro Loco, a quarant’anni dalla scomparsa.
Nei saluti d’apertura, l’assessora della Cultura Laura Di Settimio si è detta onorata di approfondire la personalità e l’operato di Sanna attraverso le testimonianze di docenti, amici e familiari che con lui ripartirono momenti di vita e di lavoro. Un intendimento condiviso con il sindaco Massimo D’Agostino, felice di rendere il giusto riconoscimento a un personaggio che ha rappresentato “la bonorvesità più autentica”, come già si era riusciti a fare con altri grandi come Paolo Mossa e Peppe Sotgiu.
Dopo la proiezione del video documentario realizzato da Giovanna Ruggiu, la tavola rotonda moderata da Lucia Sechi ha preso il via con l’intervento di Attilio Mastino, che ha sottolineato quanto il paese di Bonorva, considerato da Giovanni Spano la Siena di Sardegna, dovesse aver giocato un ruolo fondamentale nella formazione di un uomo che durante la sua esistenza avrebbe dato tanto alla lingua sarda. Il già rettore dell’Uniss ne ha ricordato l’importanza per il rinnovamento del Premio di poesia Ozieri, e il tentativo di far entrare l’insegnamento del sardo nelle scuole, al di là di ogni contesto puramente folcloristico.
Anche secondo Michele Pinna, direttore scientifico Is.Be, Sanna aveva rappresentato la svolta per il Premio Ozieri, sottraendo il concorso alle originarie visioni pionieristiche e ponendo seriamente il problema dell’elaborazione di un canovaccio di norma ortografica. Un canovaccio che, pur garantendo l’accesso a tutte le varianti locali, considerate una ricchezza, avrebbe rappresentato l’ossatura per la futura Limba Sarda Comuna. Per Pinna, Sanna ha avuto certamente il grande merito di restituire dignità agli studi accademici del sardo, dopo Leopold Wagner.
Tra gli ex colleghi dell’intellettuale bonorvese, Leopoldo Ortu ha descritto i tratti fondamentali che ne caratterizzavano l’operato, e in particolare la metodologia della ricerca storica. Leopoldo Ortu ha rievocato alcuni momenti di lavoro in comune e ha invitato a riscoprire le sue opere, tra le quali ha riproposto alcuni passaggi de “Il dialetto di Sassari”.
Nel ricordo vivo di Maurizio Virdis, docente di Linguistica sarda nell’Ateneo cagliaritano, che fu allievo di Antonio Sanna, il suo maestro affiancava allo studio del puro glottologo una visione più ampia della lingua, inquadrata come un elemento centrale dell’umanesimo. Secondo Virdis, parte della sua anima era rimasta in India, nel cui sostrato popolare aveva forse individuato affinità con la realtà sarda nella quale era cresciuto. Tuttavia la sua patria intima era rimasta sempre Bonorva.
Ma è stata la figlia Nicoletta a smontare gli equivoci sulle idee del padre, contese tra le diverse scuole di pensiero che da sempre caratterizzano lo studio della lingua sarda. Una lingua che per Antonio rappresentava un patrimonio culturale dal carattere pluralistico, tutto da conquistare e non da subire. A chiarire gli aspetti sul titolo di Mahatma ricevuto in India da un consesso di saggi durante gli anni di prigionia, è stata invece l’altra figlia, Francesca.
Dalle diverse testimonianze è emersa quindi la figura di un gigante che, come ha ricordato la presidente Is.Be. Maria Doloretta Lai nell’intervento conclusivo, era votato a portare dentro le massime istituzioni scientifiche quanto già nasceva dentro il suo cuore. Il suo contributo resta ancora vivo non solo per Bonorva ma per tutta la Sardegna.