Nel periodo pandemico gli operatori sanitari hanno sentito quasi un senso di impotenza nei confronti della malattia Covid, una situazione che si è scontrata in maniera profonda con i sentimenti di ciascuno. In tanti sono rimasti feriti nell’animo ed altri ancora hanno mostrato un forte senso di disorientamento. Ma il Covid ed il lockdown hanno colpito anche i più giovani, gli adolescenti che hanno sentito il peso delle restrizioni, la paura, l’ansia provocata dalla pandemia.
Il convegno dal titolo “Impatto della pandemia sulla salute mentale, cosa abbiamo imparato?” che si aprirà domani, 3 dicembre, all’hotel Carlo Felice di Sassari alle ore 9.00, sarà l’occasione per fare il punto sulla situazione traumatica che l’emergenza sanitaria ha creato, anche dal punto di vista della salute mentale, con ripercussioni più o meno gravi sui soggetti più fragili.
«Gli operatori sanitari hanno dovuto confrontarsi con due aspetti – afferma la professoressa Liliana Lorettu, direttore della Clinica psichiatrica dell’Aou di Sassari – da una parte la paura di ammalarsi, di infettarsi ed infettare i propri familiari, di dover rimanere chiusi e isolati, magari all’interno di un reparto e non poter tornare a casa. Dall’altra parte il tema della morte è stato ricorrente nel loro lavoro. Hanno assistito al decesso di tanti pazienti, giovani e anziani. Hanno dovuto affrontare quello che viene chiamato trauma vicario, che deriva dal coinvolgimento empatico tra chi svolge una professione d’aiuto e coloro che sono effettivamente vittime di un trauma in prima persona.»
«Se facciamo questo mestiere – prosegue la docente sassarese – la morte del paziente va messa in conto. Ma le morti da Covid sono state numericamente alte, troppo. Inoltre, questa è stata una morte diversa da tutte le altre. Il paziente è deceduto da solo, spesso senza il conforto del parente, talvolta senza il conforto della fede, senza aver avuto la possibilità di stringere una mano familiare.»
Le attese per il futuro non sembrano essere rosee. «Cosa ci aspettiamo? Che tra gli operatori sanitari possa esserci un aumento del disagio. È vero – dice la psichiatra – nel momento della necessità l’operatore agisce ed affronta la situazione ma il trauma del disagio si manifesta nel lungo periodo».
Il personale ha dimostrato una grande forza. Tutti hanno lavorato con grande dedizione ma il disagio sarebbe presente ancora adesso. «Il trauma non si manifesta nell’immediatezza – precisa – ma si tratta di una situazione che ha ancora un conto totalmente aperto».
A soffrire, chiaramente, sono stati anche i pazienti affetti da problematiche legate alla salute mentale.
Ma non solo. Lo studio realizzato dalla Neuropsichiatria infantile dell’Aou di Sassari, con il direttore della struttura professor Stefano Sotgiu e il dirigente medico la dottoressa Alessandra Carta, ha messo in luce come i giovani abbiano subito una ripercussione psicologica importante. La struttura dell’Aou ha registrato un aumento, che va dal 30 al 50 per cento, di vari tipi di disagi tra adolescenti cosiddetti “inattesi”, cioè che mai prima si erano rivolti alla Neuropsichiatria infantile. Si parla di ansia, stati di panico, disturbi alimentari, casi di maltrattamento e, in particolare, tentativi di suicidio.
I dati raccolti dagli esperti sassaresi mostrano come, tra il 2019 e il 2020, nonostante si siano ridotti gli accessi alla struttura della stecca bianca, siano aumentati rispettivamente di 4 volte e 3 volte i tentativi di suicidio tra gli adolescenti e i casi di maltrattamento in famiglia, sia con violenze fisiche dirette sia assistite. A questi si aggiungono i casi di disturbi dei comportamenti alimentari, di ideazione anticonservativa e di psicosi. Inoltre, se prima del periodo pandemico in Neuropsichiatria infantile alle prime visite la media dell’età dei nuovi pazienti era di 10 anni, dal 2020 questa si è alzata a 16 e ha riguardato pazienti che mai non avevano presentato episodi in precedenza.
«È stata una vera e propria epidemia – commenta Alessandra Carta – iniziata, probabilmente con una sottovalutazione di un sintomo minore depressivo, come ansia, attacco di panico. Il nostro studio ha evidenziato che questi fenomeni si sono verificati all’interno di famiglie numerose che vivevano in aree rurali. A questi fattori si aggiunge il possibile legame con il Covid, nel senso che la malattia poteva aver colpito un familiare dell’adolescente.»
Il fattore scatenante quindi sembra essere lo stress vissuto dal teenager, non capace di superare da solo la difficoltà alla quale ha dovuto far fronte. «Il ragazzo che prima trovava le sue risorse principali all’esterno della famiglia – riprende la specialista – ad esempio nello sport, nella scuola, tra gli amici, si è trovato costretto dentro casa, senza possibilità di scambi sociali. Una situazione che ha fatto esplodere la psicopatologia».
Secondo la specialista, inoltre, è mancata anche la capacità dei genitori di saper leggere i segni precoci di aiuto lanciati dai propri figli. «C’è stata – riprende – l’incapacità di riconoscere quel messaggio di aiuto proveniente dal ragazzo, come l’umore deflesso o l’attacco di panico. In alcuni casi i campanelli d’allarme non sono stati riconosciuti, in altri, invece, non sono stati gestiti dai genitori che, a causa dell’emergenza sanitaria, in presenza di sintomi lievi come l’insonnia, non si sono presentati al pronto soccorso. Ecco perché i genitori devono rivolgersi agli specialisti davanti a situazioni particolari come queste. Non si deve arrivare alla situazione estrema e neanche stigmatizzare la malattia psichiatrica».
Al convegno, organizzato dalla struttura di Formazione, ricerca e sperimentazione clinica dell’Aou di Sassari in collaborazione con Mc Relazioni pubbliche, parteciperanno anche esperti dell’Arnas Brotzu di Cagliari e delle due Università sarde.