Una rete complessa e affascinante di relazioni tra cielo e terra, tra mondo ctonio e spazio uranico guidava i nuragici nella progettazione dei monumenti di culto alla fine dell’Età del Bronzo e in quella del Ferro. Le strutture cultuali erano inoltre disposte secondo una disposizione reciproca, intimamente correlata agli orientamenti astronomici. Queste e altre importanti conclusioni, frutto di studi e ricerche condotti dalla Società Astronomica Turritana (SAT) e dal Circolo Culturale Aristeo, sono state presentate nei giorni scorsi durante il decimo convegno di archeoastronomia “La misura del tempo”, che, nel corso di una giornata intensa e partecipata, ha preso in esame oltre alla Sardegna diverse aree del Mediterraneo e le civiltà precolombiane del Messico e dell’Argentina.
Michele Forteleoni e Simonetta Castia hanno illustrato i risultati delle indagini comparative condotte da Aristeo e SAT sul santuario di Janna ‘e Pruna, a Irgoli, e consimili attestazioni di età nuragica. Insieme a Paola Basoli, hanno presentato le analisi svolte a Sos Nurattolos, ad Alà dei Sardi, convalidando il valore delle ricorrenze emerse negli studi condotti anche su altri siti, esposte negli ultimi anni.
Sia Janna ‘è Pruna che Sos Nurattolos furono edificati in zone montuose e impervie, ed è probabile che soprattutto il secondo fosse abitato solo nei mesi più caldi. Janna ‘e Pruna presenta a nord un tempietto a doppio vano con apertura a sud-est, racchiuso in un temenos, e una struttura circolare. A sud si trova, invece, una grande struttura circolare affiancata da una a pianta rettangolare gradonata, e a valle la fonte nuragica di Su Notante.
«L’edificio – spiega Michele Forteleoni – rappresenta il collegamento tra il tempio e la fonte: dal suo ingresso è infatti possibile vedere la fonte nel momento in cui il sole sorge nel giorno più corto dell’anno. Questo orientamento solstiziale, e il reciproco posizionamento tra monumenti, confermano quanto già riscontrato in altri siti coevi, analoghi per impianto, come quelli di Serra Orrios a Dorgali, Sos Nurattolos ad Alà dei Sardi, Romanzesu a Bitti, S’Arcu ‘e is Forros a Villagrande Strisaili». Di grande interesse anche il complesso cultuale di Sos Nurattolos, studiato insieme all’archeologa Paola Basoli, responsabile delle ricerche svolte a suo tempo dalla Soprintendenza di Sassari e Nuoro. Nel tempio di Alà dei Sardi si ripete un percorso rituale che ribadisce il rapporto di reciprocità anche astronomica tra le strutture sacre del complesso, che lega gli spazi a valenza ctonia (acqua di fonte) a quelli di riferimento uranico (acqua di cielo).
Del culto in età nuragica ha parlato Gianfranca Salis della Soprintendenza Archeologia di Cagliari e delle province di Oristano e Sud Sardegna, che ha posto l’accento sulla necessità di ampliare lo studio degli elementi sacri rinvenuti all’interno di nuraghi – come le spade votive – ricollocandoli in un contesto più ampio che comprenda anche gli aspetti economici e sociali della vita quotidiana. Luca Doro (Università di Sassari) ha illustrato i rilievi compiuti sulla muraglia ciclopica del complesso prenuragico di Monte Baranta, nei pressi di Olmedo, datato alla cultura di Monte Claro (metà del III millennio a.C.) e candidato a diventare patrimonio dell’umanità, mentre Flavio Carnevale e Marzia Monaco dell’Università “La Sapienza” di Roma hanno messo in luce diverse unità di misura assimilabili al cubito, riscontrate durante l’analisi archeometrica del complesso nuragico di Romanzesu, a Bitti, nel quadro delle indagini coordinate da Sat e Aristeo.
La Sardegna non è stata l’unica regione al centro del convegno. Anche la Sicilia ha avuto ampio spazio, grazie all’intervento di Ferdinando Maurici, della Soprintendenza del Mare, che ha illustrato i rilievi compiuti insieme ad Alberto Scudieri sul sito di Cerami, in provincia di Enna, dove sono stati rinvenuti diversi ortostati infissi nel terreno e orientati astronomicamente. Ilaria Cristofaro (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”) ha parlato del rinvenimento di alcune antefisse – probabilmente raffiguranti le Iadi portatrici d’acqua – che decoravano il tempio A, del periodo sannitico, del foro di Cuma, e che sarebbero da rapportare alla costellazione delle Pleiadi, se è vero come ritengono alcuni studiosi che l’apertura del tempio guardava verso il tramonto di questo asterismo, che segnava l’inizio del periodo invernale e delle piogge. Particolarmente suggestivo anche l’intervento dell’archeologa Marina De Franceschini, che insieme a Giuseppe Veneziano ha studiato l’orientamento astronomico del Mausoleo di Romolo nella Villa di Massenzio di Roma, mettendolo in relazione con il culto del Sole Invictus.
Elio Antonello, dell’Osservatorio astronomico di Brera-Inaf, ha proposto un interessante excursus sulla paleoclimatologia del Quaternario, in particolare in rapporto ai cicli solari, mentre Marcello Ranieri ha parlato delle conoscenze che permettevano agli antichi di realizzare figure geometriche perfette, come cerchi e quadrati, grazie alla conoscenza delle terne pitagoriche.
Mito e astronomia sono stati al centro dell’intervento di Paolo Colona, dell’Accademia delle Stelle di Roma, che ha preso in esame le costellazioni dell’Idra e del Corvo in rapporto al mito di Apollo e Coronide. Tra i misteri legati alle costellazioni celesti che fin dall’antichità hanno interessato gli uomini c’è il numero effettivo delle Pleiadi, che in alcune fonti classiche sono in numero di sette, invece delle tradizionali sei: ne ha parlato Alberto Cora (Inaf Torino), spiegando come gli antichi vedessero un cielo molto più bello di quello che vediamo noi oggi a causa dell’inquinamento luminoso. Guido Cossard, dell’Associazione ricerche e studi di archeoastronomia valdostana, ha parlato in collegamento video del complesso sistema calendariale degli Aztechi basato sull’osservazione dei fenomeni celesti, mentre Isabella Leone e Nicolás Balbi, sempre in collegamento video, hanno illustrato gli studi compiuti sull’orientamento cardinalizio e astronomico degli Ushnu, le piattaforme cerimoniali inca delle Ande dell’Argentina.