Ogni anno, a partire dal 2004, per decisione del Parlamento, l’Italia celebra il 10 febbraio il Giorno del ricordo, dedicato alla commemorazione di migliaia di vittime che tra il 1943 e il 1947, vennero catturate, uccise e gettate nelle cavità carsiche dell’Istria e della Dalmazia, le famigerate foibe, dai miliziani jugoslavi di Tito.
Conseguenza di ciò fu l’esodo di istriani, fiumani e dalmati che in quel tragico dopoguerra, furono costretti a lasciare le loro terre.
Quanto accaduto è una storia complessa e dolorosa, una vicenda che ha segnato un solco indelebile nella storia italiana del Novecento, che ci riporta ai nostri giorni e non può che riportare la nostra memoria alla guerra dei Balcani, nel corso della quale venne fatta una sorta di pulizia etnica chirurgica, con migliaia di morti, stupri e distruzione, il tutto con un’Europa che ha voltato lo sguardo altrove.
In questo contesto, non bisogna mai dimenticare gli appelli di Papa Francesco, che instancabilmente invita tutti ad una convivenza pacifica. A tal proposito, è sotto gli occhi di tutti quanto sta avvenendo ai confini con la Bosnia, dove le persone sono tenute ai margini di un’Europa che sta a guardare. Persone lasciate allo sbando, sotto la neve, con ricoveri di cartone e senza cibo né coperte.
Anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha mancato di porre l’accento sulla pericolosità di un nuovo rigurgito di violenze razziste che non possono passare sotto silenzio, auspicando un’inversione di tendenza, rifuggendo violenze, con un segno tangibile di civiltà.
Armando Cusa