Domenica 3 settembre, alle 18.30, a Gairo, presso la Sala polifunzionale di Piazza Melis, si terrà una proiezione del documentario “Ithaka”, scritto e diretto da Ben Lawrence e dedicato alla battaglia portata avanti dalla famiglia del giornalista australiano Julian Assange contro la richiesta di estradizione che vorrebbe trasferirlo negli Stati Uniti d’America, dove sarebbe processato sulla base della legge sullo spionaggio del 1917, nota per l’impossibilità dell’imputato di giustificare le proprie pubblicazioni facendo riferimento all’interesse del pubblico a conoscere fatti rilevanti per l’esercizio dei diritti democratici.
L’evento è organizzato dal comune di Gairo, in collaborazione con l’Associazione Gairo Vecchio nel Cuore ed è stato proposto all’amministrazione comunale del paese ogliastrino dall’attivista per i diritti umani Lorena Corrias, ideatrice nel Comasco di un’iniziativa diventata celebre tra le associazioni che in Europa e nel mondo sono impegnate in azioni di protesta pacifica per la liberazione di Julian Assange. «L’obiettivo è discutere e far conoscere. La situazione di Assange mi ha particolarmente colpito e credo sia molto importante parlare di libertà di stampa, delle anomalie del sistema», ha dichiarato il sindaco di Gairo Sergio Lorrai. E ha aggiunto: «Credo che in questa vicenda non si stiano tutelando i diritti della persona. Una società civile questo non dovrebbe permetterlo».
Soddisfazione è stata espressa anche da Lorena Corrias: «Sono particolarmente felice che il comune di Gairo, paese natale di entrambi i miei genitori (a cui sono particolarmente legata avendo dei bellissimi ricordi d’infanzia) si sia dimostrato disponibile e aperto a diffondere questo docufilm fondamentale per i diritti di Julian Assange ma anche per i nostri. Credo che questo film abbia il potere di arrivare al cuore delle persone e permetta di capire davvero cosa comporti questa situazione, non solo per Julian e la sua famiglia ma per tutti noi».
L’evento comprenderà anche un collegamento da remoto di Adrian Devant – fratello della moglie di Julian Assange – e l’intervento in presenza di Sara Chessa, giornalista residente in Inghilterra che ha seguito per la testata Independent Australia l’intero processo sull’estradizione, raccontandolo nel libro “Distruggere Assange. Per farla finita con la libertà di informazione”, pubblicato da Castelvecchi nel 2023.
L’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, richiesta nell’aprile 2019 in conseguenza di un atto di accusa che contiene diciassette capi di imputazione per spionaggio e un capo di imputazione per cospirazione informatica, è avversata dalle maggiori organizzazioni per i diritti umani sul pianeta, come Amnesty International e Reporter senza Frontiere.
«La pubblicazione effettuate da Julian Assange nell’ambito del suo lavoro con Wikileaks non dovrebbe essere punibile, poiché questa attività rispecchia una condotta che i giornalisti investigativi intraprendono regolarmente nella loro veste professionale. Perseguire Julian Assange con queste accuse potrebbe avere un effetto paralizzante sul diritto alla libertà di espressione, portando i giornalisti ad autocensurarsi per paura di essere perseguiti.» Così ammonisce Amnesty International nel testo di una petizione che chiede l’archiviazione delle accuse rivolte dagli Stati Uniti a Julian Assange.
La liberazione di Julian Assange, richiesta fin dal 2016 dal Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria e invocata nel 2020 all’unanimità anche dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), è oggi auspicata a gran voce dalla Federazione internazionale dei giornalisti (IFJ), che rappresenta 600.000 professionisti dei media appartenenti a 187 sindacati e associazioni in più di 140 paesi.
Agli appelli degli esperti dell’Onu, dei sindacati dei giornalisti e del Consiglio d’Europa si uniscono anche decine di gruppi di attivisti e attiviste per la libertà di stampa, impegnati in una protesta pacifica che corre in parallelo rispetto alla battaglia giudiziaria e si propone di spingere i governi del mondo a intervenire a livello diplomatico chiedendo l’archiviazione delle accuse rivolte contro Julian Assange. Operazione già avvenuta in Australia, dove il governo guidato da Anthony Albanese ha chiesto all’amministrazione Biden di archiviare il caso, sotto la spinta di un’ampia porzione di società civile che chiede la liberazione di Assange e il suo ritorno a casa assieme a sua moglie Stella e ai due
bambini della coppia.
Dopo quattro anni trascorsi presso il carcere di Belmarsh a Londra in attesa della conclusione del processo giudiziario che dovrebbe stabilire se l’estradizione sia legale o meno, Assange è ora in attesa del pronunciamento finale dei giudici circa la sua richiesta di presentare appello contro il sì all’estradizione e contro la sentenza che, in primo grado, aveva negato il trasferimento degli Stati Uniti soltanto sulla base dei problemi di salute mentale. È fondamentale, secondo il team legale e secondo esperti di diritti umani come l’ex Relatore Onu sulla tortura Nils Melzer, che la richiesta di estradizione sia negata e che questo avvenga anche sulla base dei rischi che essa determinerebbe per la libertà di informazione e il diritto alla conoscenza del pubblico.
Se anche quest’ultima possibilità di appello all’interno del sistema giudiziario britannico verrà negata, a Julian Assange rimarrà l’unica possibilità di rivolgersi alla Corte Europea per i Diritti Umani.
Quest’ultima, tuttavia prevede tempi di attesa lunghi per le decisioni. La speranza degli attivisti per i diritti umani è che la Corte stessa, in attesa di decidere, richieda che Assange rimanga in Inghilterra e non venga trasferito negli Stati Uniti.
Qualunque sia l’esito della battaglia legale, la detenzione di Julian Assange potrebbe essere interrotta in qualsiasi momento attraverso l’archiviazione delle accuse, obiettivo per cui gli attivisti per la libertà dei media e di espressione spingono in Australia, America e Europa. Il documentario Ithaka, mostrando il vissuto dei familiari di Julian Assange negli ultimi anni, racconta il lungo percorso di Stella Assange e John Shipton, rispettivamente moglie e padre di Julian Assange, verso questo obiettivo, sottolineando la connessione tra la persecuzione di Julian Assange e la volontà di minare alle basi il sistema dei diritti umani.