Si è svolto ieri pomeriggio, presso l’Aula magna del Seminario arcivescovile di Cagliari, il convegno promosso dall’Ufficio diocesano di Pastorale penitenziaria. Tema al centro dell’incontro «Chiesa e carcere in dialogo».
L’evento, che ha visto coinvolti diversi soggetti, impegnati in questo ambito sul territorio regionale, mirava a riflettere sulle strade da percorrere, in sinergia con le istituzioni e le comunità cristiane, per realizzare un progetto che sia efficace nella vita della persona detenuta, anche in prospettiva al reinserimento familiare, sociale ed ecclesiale.
Con la nascita dell’Ufficio diocesano di Pastorale penitenziaria, lo scorso anno, il vescovo monsignor Giuseppe Baturi, ha inteso offrire un nuovo impulso al servizio finora svolto dai cappellani e dai volontari, nelle due case di detenzione situate sul territorio diocesano: la Casa circondariale di Uta e l’Istituto per minori di Quartucciu.
Tra le principali tematiche trattate durante l’incontro emergono le sfide e i frutti di un servizio rivolto alle persone detenute, che spesso vivono ai margini del contesto sociale e alcune testimonianze sull’accoglienza dei detenuti o ex detenuti in comunità. Ampio spazio è stato dato inoltre alla realtà giovanile ed in particolare ai minori in regime di detenzione, riflettendo in particolare sulla possibilità di condividere un progetto comune in termini di prevenzione, formazione giovanile e sensibilizzazione. Da non trascurare infine l’importanza della partecipazione della comunità esterna e l’impegno della Caritas diocesana all’interno degli istituti di pena presenti sul territorio.
Per l’arcivescovo di Cagliari monsignor Giuseppe Baturi «l’idea di istituire l’Ufficio per la pastorale penitenziaria è finalizzato a coinvolgere la comunità, in tutte le sue componenti, ma anche le istituzioni, non semplicemente per affrontare un “problema” ma per venire incontro alle esigenze dei fratelli detenuti. Un servizio – ha affermato – non solo per coloro che espiano una pena, ma anche per le necessità delle loro famiglie, del successivo reinserimento in un quartiere, nelle parrocchie di appartenenza, dove si può contare sulla conoscenza e sull’amicizia del parroco. L’operato della pastorale penitenziaria deve essere orientato a rendere possibile un vero cambiamento della vita. Non possiamo infatti lavorare in questo campo senza una stima, senza aver fiducia nella dignità dell’uomo che, sempre, può costruire un nuovo futuro. Un’azione concreta – conclude – affinché questi fratelli non siano solo destinatari di una buona azione ma protagonisti del proprio riscatto e del proprio futuro».
«Questo convegno – ha sottolineato don Raffaele Grimaldi, Ispettore dei Cappellani delle carceri italiane – ci ha fatto ritrovare insieme, pastore e operatori delle carceri, volontari e uomini di buona volontà. Io stesso sono qui per rappresentare i 250 cappellani che operano nelle carceri di tutta l’Italia. Avviare un nuovo Ufficio di pastorale carceraria significa tenere vivo lo sguardo di tutta la diocesi su queste realtà di periferia esistenziale e esprimere vicinanza a coloro che vivono tale condizione di vita. Talvolta anche i cappellani si sentono un po’ soli. Il nostro servizio è un modo concreto per rendere più vicina la comunità, rendendola consapevole e partecipe del mondo di sofferenza e di emarginazione nel quale vive la Chiesa, tramite sacerdoti e volontari, annuncia il vangelo della misericordia. Nei reclusi si nasconde la misteriosa presenza del Signore: “Ero carcerato e siete venuti a visitarmi”. Per questo motivo il carcere è una grande sfida pastorale e di evangelizzazione.»
Il direttore della Casa circondariale di Uta, Marco Porcu, ha esordito citando «il titolo del convengo “Chiesa e carcere in dialogo”. Questo tema ci dice come sia fondamentale che l’istituzione penitenziaria abbia bisogno di dialogare con la società, e la Chiesa rappresenta per noi un interlocutore fondamentale. Come operatori penitenziari abbiamo bisogno di raccontare la nostra esperienza e anche le nostre difficoltà alla società esterna. È innegabile – ha evidenziato – che gli obiettivi dell’amministrazione penitenziaria e quelli della Chiesa cattolica sono convergenti. Pertanto, il dialogo con gli operatori pastorali, sacerdoti e volontari, è sempre autentico e collaborativo».
«Oggi le pene inflitte ai minorenni – ha affermato il direttore dell’Istituto di pena minorile di Quartucciu Enrico Zucca – prevedono diverse possibilità di espiazione, non necessariamente con la reclusione presso una struttura di reclusione. Pertanto, l’attenzione dell’Ufficio diocesano di pastorale penitenziaria dovrà essere rivolta anche ai numerosi ragazzi sottoposti a misure penali esterne. Inoltre, è fondamentale che si studino possibilità di intervento nei contesti locali che coinvolgano varie agenzie educative, compresi gli oratori, al fine di prevenire, affrontare e, possibilmente, cercare di risolvere i disagi sociali dei giovani, oggi resi ancora più gravi a causa della lunga pandemia.»