Gentile signora Zuncheddu,
dagli anni ’70, con tanti altri sono stato sempre impegnato per il dibattito politico sulla Sardegna: anticolonialismo, dipendenza e indipendenza, questione della lingua, cosiddette ‘minoranze’ linguistiche (d’accordo se si relativizza l’espressione, servitù e schiavitù militare, trasporti, sardi di fuori, diaspora ecc.
I Sardi di fuori sono stati sempre molto presenti nei dibattiti, ma molto spesso ignorati, non rientranti nella ‘contabilità’ sardista. Eppure hanno divulgato in Italia, nei partiti italiani in Continente e all’estero la conoscenza delle problematiche e dei problemi (oggi i due nomi vengono barbaramente utilizzati come sinonimi: anzi esistono solo le problematiche, i problemi no; una strategia o una auto censura che porta a sminuire i problemi e a ridurli a ‘problematiche’, allo stesso tempo che la gente si autocoglionizza e si fa convinta che resilienza e resistenza sono sinonimi). Ma, a parte la divagazione e senza teorizzare più di tanto: senza la componente dei sardi di fuori non si può progredire più di tanto nel dibattito, nelle rivendicazioni, nell’affermazione. È la stessa situazione degli italiani tutti all’estero ‘dimenticati’ da tutti i ministri degli esteri.
Ripeto, non mi dilungo. Solo una sorta di promemoria e di invito alla valutazione e alla riflessione sul tema. Per quanto riguarda il problema e le problematiche riguardanti la lingua, in Sardegna c’è un fiorire e prosperare di progetti e attivazione di corsi di ‘insegnamento’ del sardo, più o meno considerabili come strumenti utili e qualificati. Come mai si dimenticano in ciò le centinaia di migliaia di sardi di fuori che, pure, noi lo sappiamo, in tanti avrebbero il desiderio di essere considerati quanto a questo aspetto, quanto a tutti gli altri aspetti. Anche noi sardi di fuori siamo sardi. E non chiamateci ‘emigrati’. È un termine che rimanda a un’immagine di un certo tipo. Il sardo di fuori oggi, a parte quelli che scappano ancora e sempre e che devono ricominciare tutto da capo, rappresenta una popolazione diversa da quella di cinquant’anni fa.
Marco Piras-Keller
Lucerna