Il monologo di Lay (luci e suono di Giovanni Schirru, progetto sonoro di Matteo Sanna, scene di Mario Madeddu, Marilena Pittiu, Matteo Sanna, Giovanni Schirru, organizzazione di Tatiana Floris), che fin dal suo debutto, sei anni fa al Teatro La Vetreria di Pirri, ha ricevuto consensi convinti da pubblico e critica, è dedicato a un’icona della storia, non solo sportiva, di Cagliari e dell’intera Sardegna: Gigi Riva è stato e rimane, ancora di più dopo la sua scomparsa, un mito del calcio italiano e internazionale.
Gianni Brera – come è noto – soprannominò quel campione, arrivato giovanissimo dalla Lombardia, da Leggiuno, nell’Isola, “Rombo di Tuono”, per la sua potenza, l’ardore agonistico e le eccellenti capacità di goleador. Pier Paolo Pasolini, grande appassionato di calcio, scriveva: «Il gioco del football è un ‘sistema di segni’; è, cioè, una lingua, sia pure non verbale. La sintassi si esprime nella ‘partita’, che è un vero e proprio discorso drammatico. Ci può essere un calcio come linguaggio fondamentalmente prosastico e un calcio come linguaggio fondamentalmente poetico… Riva gioca un calcio in poesia».
«Nel 1970, quando il Cagliari divenne campione d’Italia, io avevo 8 anni – scrive nelle note di presentazione dello spettacolo Alessandro Lay -. Non ricordo molto dello scudetto, ma ricordo come era la città, come ci vestivamo, come ci appendevamo ai tram per non pagare, l’album della Panini e le partite ‘a figurine’ sui gradini della scuola elementare. Ricordo il medagliere, con i profili dei giocatori del Cagliari sulle monete di finto, fintissimo oro da collezionare. E ricordo vagamente un ragazzo schivo, a volte sorridente, che guardava sempre da un’altra parte quando lo intervistavano. Un ragazzo che puntava i pugni in terra e si faceva tutto il campo correndo ogni volta che segnava un gol…»