«Si dice tra gli infiltrati del movimento linguistico (pensando di dire una cosa intelligente e originale) che il concetto di una lingua sarda unitària scritta (nazionale) sia ottocentesco, dimenticando che di riferibile all’Ottocento c’è la visione del sardo quale lingua irrimediabilmente divisa propalato in primis dagli intellettuali piemontesi e poi dai colti sardi collaboranti (in genere filo Savoia). Del resto non è un caso che il secolo si apra con il divieto di pubblicare una grammatica unitaria e si chiuda con l’abbandono del sardo illustre unitario da parte dei poeti de Su Connotu.»
A dirlo è lo scrittore, giornalista e attivista della lingua sarda, Giuseppe Corongiu, che aggiunge: «Le nazioni e le lingue che funzionano ancora oggi poi, sono ‘ottocentesche’ nel piglio e nella sostanza sempre. Non mettono mai in dubbio infatti l’unità della lingua e dello stato perché sanno che divisione ın varianti e territori significa debolezza. Sono però innovative e smart quanto basta per convincere, con argomenti raffinatissimi gli altri, soprattutto i popoli minoritari come i sardi, che la divisione della lingua in varianti è una ricchezza e quella in localismi una ‘articolazione naturale’ che va rispettata senza forzature artificiali. Cioè quelle che loro però hanno fatto. Insomma, ciò che vale per me che ho il potere linguistico ufficiale, non deve valere per te che lo rivendichi».
«La tristezza – conclude Giuseppe Corongiu – sta nel fatto di vedere tanti ‘infiltrati’ (in genere formati dalle università italiane in Sardegna) tifosi della difesa di varianti locali contro la LSC, che proprio non hanno capito il senso della battaglia per una lingua nazionale riscoperta da Simon Mossa, Lussu, Lilliu, Su Pòpulu Sardu e altri nel migliore Novecento. E il senso è proprio quello di levare fuori il sardo dalle secche della visione divisiva ottocentesca imposta dagli ispiratori coloniali degli attuali infiltrati. Quindi l’Ottocento autoritario e coloniale si esplica in loro in maniera speculare e funzionale alla creazione di un caos divisivo che serve a tenere lontana l’opinione pubblica e a impedire alla politica di operare.»
A dirlo è lo scrittore, giornalista e attivista della lingua sarda, Giuseppe Corongiu, che aggiunge: «Le nazioni e le lingue che funzionano ancora oggi poi, sono ‘ottocentesche’ nel piglio e nella sostanza sempre. Non mettono mai in dubbio infatti l’unità della lingua e dello stato perché sanno che divisione ın varianti e territori significa debolezza. Sono però innovative e smart quanto basta per convincere, con argomenti raffinatissimi gli altri, soprattutto i popoli minoritari come i sardi, che la divisione della lingua in varianti è una ricchezza e quella in localismi una ‘articolazione naturale’ che va rispettata senza forzature artificiali. Cioè quelle che loro però hanno fatto. Insomma, ciò che vale per me che ho il potere linguistico ufficiale, non deve valere per te che lo rivendichi».
«La tristezza – conclude Giuseppe Corongiu – sta nel fatto di vedere tanti ‘infiltrati’ (in genere formati dalle università italiane in Sardegna) tifosi della difesa di varianti locali contro la LSC, che proprio non hanno capito il senso della battaglia per una lingua nazionale riscoperta da Simon Mossa, Lussu, Lilliu, Su Pòpulu Sardu e altri nel migliore Novecento. E il senso è proprio quello di levare fuori il sardo dalle secche della visione divisiva ottocentesca imposta dagli ispiratori coloniali degli attuali infiltrati. Quindi l’Ottocento autoritario e coloniale si esplica in loro in maniera speculare e funzionale alla creazione di un caos divisivo che serve a tenere lontana l’opinione pubblica e a impedire alla politica di operare.»