Il Cada Die Teatro torna sul palco con “Arcipelaghi”, lo spettacolo tratto dal romanzo della scrittrice, saggista e insegnante Maria Giacobbe e diretto da Alessandro Lay, domani, 13 gennaio, per i detenuti della Colonia penale di Is Arenas, giovedì 14 per gli ospiti della Casa di reclusione “Salvatore Moro” di Massama e mercoledì 20 gennaio per una nuova sezione di detenuti della Casa circondariale di Uta.
«Le nostre speranze di poter riprendere a far teatro in presenza a gennaio sono svanite. Ma per noi non è pensabile star fermi, abbiamo una responsabilità che è quella di portare l’arte ovunque, e in particolar modo nei luoghi non convenzionali, dove gli spunti di riflessione sono ancor più necessari che altrove. Sostenuti e sollecitati da operatori carcerari e insegnanti dei CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), abbiamo deciso di proseguire questo particolare tour nelle carceri attraverso lo strumento dello streaming, sia pur in diretta e non con la messa in onda di una registrazione», spiegano Alessandro Mascia e Pierpaolo Piludu, ideatori del progetto e interpreti dello spettacolo.
Indispensabile è anche tutta la fase di preparazione dei detenuti ad opera dei docenti dei CPIA. «È la prima volta che i detenuti di Massama si confrontano con un progetto di questo tipo. La scuola e le attività di laboratorio come il teatro, sono l’unica apertura verso il mondo esterno. Ma ora tutto è fermo, da marzo scorso non abbiamo la possibilità di incontrare i nostri allievi, neppure a distanza. Pertanto, l’incontro con la cultura e la bellezza del teatro diviene un’esperienza ancora più preziosa, un ponte tra la realtà carceraria e la società esterna, un’occasione culturale e formativa che contribuisce al miglioramento della condizione attuale di ogni soggetto recluso. Per chi vive tra le pareti del carcere, anche una piccola finestra verso l’esterno rappresenta una risorsa fondamentale» spiega Carmensita Feltrin, dirigente scolastico del CPIA 4 di Oristano.
D’accordo su tutta la linea anche Giuseppe Ennas, dirigente scolastico del CPIA 1 di Cagliari cui fanno capo gli istituti di Uta, Quartucciu ed Isili: «Il primo obiettivo che vorremmo raggiungere è quello del recupero e della riabilitazione di chi ha commesso errori nella propria vita, ma è pronto a rientrare in società. Con i laboratori teatrali si ha poi l’opportunità di acquisire competenze in campo lavorativo. Si pensi, solo per degli esempi, ai falegnami per la costruzione delle scenografie o agli elettricisti che si occupano degli impianti. Inoltre abbiamo la dimostrazione che questo tipo di attività, e in particolare l’incontro ed il confronto con i protagonisti dei progetti, favorisce la capacità di relazionarsi agli altri e incentiva una responsabilizzazione dei detenuti», conclude Giuseppe Ennas.
Ecco perché il lavoro della compagnia assume contorni di ancora maggiore rilevanza. Pur trattandosi di un’alternativa “forzata” al contatto vero e proprio con gli spettatori, Alessandro Mascia tiene a sottolineare uno degli aspetti più interessanti di questa esperienza: «Anche se separati da uno schermo, al termine dei nostri spettacoli ci confrontiamo con i detenuti. È un momento irrinunciabile e certamente uno degli aspetti che più ci stimolano ad andare avanti in questo percorso».
Pierpaolo Piludu spiega perché è stato scelto proprio questo racconto: «La bellissima e terribile storia di Maria Giacobbe è una riflessione profonda sia sui temi della violenza, della vendetta e della pena, che sulle debolezze e difficoltà che possono spingere qualsiasi essere umano a compiere azioni delittuose. È un invito a metterci nei panni di tutti i protagonisti della storia facendoci riflettere sul dolore che ogni nostro comportamento può determinare in altri esseri umani».
Quale miglior platea dunque, di chi è chiamato a rispondere di una o più scelte sbagliate fatte nella vita?: «Il teatro, come tutta l’arte, ha il compito e il dovere non tanto di dare risposte ma di porre domande, possibilmente scomode e di non facile soluzione: domande che invitino lo spettatore a prendere posizione su quello che dal palcoscenico gli viene proposto. Lo spettacolo racconta non una ma più vicende, non espone una verità ma, come fossero vere e proprie isole che man mano affiorano, porta a galla le diverse visioni di ognuno dei personaggi, fino a formare appunto un “arcipelago” di verità in cui decidere cos’è giusto e cosa no resta un compito del lettore o, nel nostro caso, dello spettatore», aggiunge il regista Alessandro Lay.