Nella lettura del romanzo “Il silenzio di un amore” di Lucia Becchere, troviamo conferma al pensiero che l’innamoramento – per quanto immaginifico ed ardentemente esaltante – è sentimento di unicità individuale e che può trovare coronamento solo nell’amore condiviso; l’innamoramento concepito come universo personale, cresciuto e custodito nell’anima e nella mente, è fiamma capace di ardere intimamente ed annientare il percorso esistenziale per una vita compiutamente vissuta.
L’invaghimento malioso come limite che porta a rinunce e alla possibilità di ricostruire, negli anni, un progetto di stabilità affettiva dai passi adulti, perché Livia, la protagonista della narrazione, vive il dolore dell’amore non ricambiato da Sandro con la stessa sofferenza ed insopportabilità di un tradimento non metabolizzato; talvolta con aspetti patologici di psicologia irrisolta e lo svelamento di sentimenti comuni, non esternati, che orientano scelte e strade di vita.
La protagonista è custode di uno sconvolgente sentimento, che non rivela per non sminuirne la grandezza platonica, e nonostante tutto possiede l’amore senza possederlo. La storia, nata dalla sinergica abilità di scrittura e cuore di Lucia Becchere, rappresenta ed elabora con dignità il vasto universo dei sentimenti che generano fragilità e vulnerabilità relazionali ma anche la psicologia del cuore che sviluppa energia per un amore incondizionato.
Livia vive l’amore, come tutto il passato, in costante presenza con l’originale passione adolescenziale, sono vivi “i doni” significanti ricevuti: una spilla col suo nome, lettere e scambi epistolari consegnati tra le pagine di un libro di scuola. Rivive e coltiva nell’anima i fuggevoli attimi, gli incontri di sguardi perché l’amore di Livia è categoricamente “voler bene a prescindere”.
I sentimenti sono da incanalare e il reprimerli, nell’emozione ed emotività reale, richiede alla protagonista una estrema abilità di controllo che logora e crea sofferenze; inibizioni e freni familiari, sociali e culturali (la storia iniziale si presume ambientata tra gli anni Cinquanta e Sessanta) non permettono a Livia di condividere e rivelare i turbamenti di giovane donna e dunque mette sottochiave il sentimento, come un “peso” interiore che cammina nel vivere della quotidianità.
Un incontro casuale tra Livia e Sandro, ormai alla soglia dell’età matura, riporta i sentimenti cullati nel silenzio dalla donna e, quasi in forma diaristica e prosa altamente poetica, la narratrice ripercorre le fasi di un amore senza tempo, che non invecchia e “non conosce età e vive oltre il tempo”. E soprattutto tuttora sente quanto fa male “l’abbandono!”, senza una spiegazione. Un perché, ricercato da sempre in modo ossessivo ed introspettivo ma che non gli aveva negato di realizzarsi. Livia si racconta in prima persona: «Vivevo sola, non mi ero mai voluta sposare. Da single avevo inseguito i miei obiettivi. Uno studio intenso e ossessivo mi aveva interamente assorbito. Studiare è sempre stata la mia passione, ma era anche il mio rifugio balsamico. La mia indole malinconica si accompagnava ad una sensibilità che generava sofferenza».
L’illuminante e dotta prefazione al romanzo è di Dolores Turchi, che nell’analisi della storia, indicata come “un lavoro profondamente introspettivo”, propone diversi approcci alla lettura del libro che “descrive un amore platonico, tutto interiorizzato e mai risolto, tanto da bloccare il normale svolgersi di una giovinezza” e “pensiero persistente così forte da sconvolgere la vita di un’adolescente, si trasformerà in una sorta di scoglio difficile da sormontare”. E ancora le parole della prefatrice, che naturalmente non svela le pagine risolutrici del rapporto tra Livia e Sandro, puntualizzano ed aggiungono mistero: «Ma quando i due si incontrano e tutto si chiarisce, quando ogni ombra svanisce per dar luce a una nuova vita che promette felicità ad entrambi, d’improvviso tutto diventa oscuro e si annulla in un gioco del destino»
Buona lettura nello scandaglio di passione e sentimenti, direi d’altri tempi e in totale contrasto con le fluidità e libertà giovanili attuali, ma che merita attenzione per la profonda architettura della narrazione e qualità di scrittura esercitata sapientemente da Lucia Becchere.
Il disegno di copertina del romanzo è opera del pittore Mario Adolfi, nato a Bosa nel 1952 e nuorese di adozione, apprezzato e conosciuto per una caratterizzante produzione originale d’arte contemporanea.
*Lucia Becchere nata a Siniscola, vive a Nuoro. Laureata in Lingue e Letterature Straniere all’Università di Pisa, ha insegnato in diversi Istituti superiori. È redattrice del settimanale diocesano di Nuoro “L’Ortobene” e prestigiosa firma di “Tottus in Pari”, dove contribuisce principalmente con articoli culturali. Ha pubblicato due sillogi poetiche e scritto diversi romanzi.
Cristoforo Puddu