«Ci sono donne che hanno lasciato segni profondi, che si sono poste come simbolo della propria comunità coltivando la ricerca di se stesse e delle proprie origini, sospinte da una forza originaria che in queste comunità rappresenta un forte elemento di coesione. Una coscienza sociale che è anche il principale antidoto contro lo spopolamento, al di là delle eventuali opportunità di lavoro e di benessere.»
Così Michele Pinna, direttore scientifico dell’Istituto Camillo Bellieni, ha analizzato il senso delle profonde riflessioni dedicate a due straordinarie donne di Sardegna come Grazia Deledda e Maria Carta.
Due figure iconiche sulle quali si è concentrata la V edizione di “Martis in poesia”, inserita quest’anno come evento conclusivo del festival letterario Etnos. La manifestazione è stata realizzata a porte chiuse a causa della situazione sanitaria e trasmessa dal centro polivalente in diretta streaming su skype e sulla pagina facebook di Etnos.
Dopo le introduzioni dell’operatrice culturale Francesca Sini e del sindaco di Martis, Tiziano Lasia, l’evento ha preso il via attraverso il monologo teatrale “Viaggio sotto la luna” di Isabella Mastino, nel quale la studiosa, in un crescendo incalzante e appassionato, ha guidato l’ascoltatore tra i sentimenti, i tormenti e le vicende narrate nelle opere della scrittrice premio Nobel, concentrandosi in particolar modo sul romanzo “Nostalgie”, uno dei meno conosciuti e al contempo più belli della Deledda. Il monologo trova il suo riferimento diretto in due libri della Mastino, “Ma io non vedevo quella luna” breve antologia di Grazia Deledda e “Il viaggio-breve antologia di Grazia Deledda” volume secondo, pubblicati da Alfa Editrice.
La seconda parte della serata è proseguita con le analisi di Lucia Sechi e Daniela Masia, studiose ed esperte della lingua e cultura sarda, che hanno analizzato i testi di Grazia Deledda e Maria Carta utilizzando il sardo come lingua veicolare.
L’intervento di Lucia Sechi, a partire dall’esposizione dei più significativi tratti biografici della Deledda, ha inquadrato la profonda esigenza della scrittrice di affrancarsi dall’ambiente familiare e cittadino. Una condizione che era divenuta al contempo la sua forza ispiratrice, dalla quale attingeva per realizzare le trame delle sue opere. La Sechi ha ricordato alcuni brani del romanzo autobiografico “Cosima”, dai quali emergono i sacrifici di una donna che intendeva realizzarsi in un contesto fino ad allora riservato esclusivamente agli uomini.
Quanto più la Deledda cercava di allontanarsi dalla Sardegna, tanto più finiva per restarne intrappolata da un punto di vista letterario. Come ha ben posto in evidenza Daniela Masia, la maturazione della scrittura cresceva con la coscienza che lei attuava di se stessa: nell’asprezza dei personaggi c’è sempre una rappresentazione dei componenti della sua famiglia; la lirica e l’epica nella descrizione dei protagonisti nascono dall’intimità del suo mondo privato, riproposto in una cornice più alta ispirata in primis dalla letteratura russa che aveva scoperto nella biblioteca di famiglia.
Figura diversa ma altrettanto significativa è stata quella di Maria Carta, la cui voce è stata ricordata come rappresentativa di suggestioni senza tempo: dall’infanzia nel paese di Siligo dove il suo canto rituale, da bambina inconsapevole, era il suo modo di esorcizzare la paura, fino alle esibizioni sui palchi e quindi nelle trasmissioni televisive di visibilità nazionale. Poi il suo lavoro di ricerca sul campo, alla riscoperta di quel patrimonio culturale, dei melismi e delle sensibilità che non è possibile riportare sul pentagramma.
In chiusura di serata il direttore artistico Nanni Campus, rifacendosi alle parole di Michele Pinna, ha ribadito quanto sia importante, per chi si occupa di cultura in Sardegna, ricostruire il tessuto simbolico, e ha perciò rimarcato l’importanza di progetti come Etnos per restituire alle piccole comunità un profondo senso identitario.