Nel segno di Orione – da Sid (Osiride) al Sardus Pater – gli atlanti di Monte Prama (Agorà nuragica, 2020)
di Mauro Peppino Zedda
Ho tentato di raccontare nel mio libro “Il contadino che indicava la luna. Storia di un cambio di paradigma nell’archeologia sarda” – ed Aracne (2019) la quasi trentennale vicenda scientifica dell’archeoastronomia in Sardegna, che ha per protagonisti il pioniere e autodidatta Mauro Peppino Zedda, autore del libro di cui parliamo e gli studiosi internazionali da lui coinvolti.
Mauro Peppino Zedda si appassiona alle antiche costruzioni nuragiche e compie trenta anni fa, quasi per caso, una scoperta tanto clamorosa quanto spettacolare nel suo paese, Isili. Egli coinvolge nelle sue ricerche i massimi studiosi viventi, approfondisce per trent’anni le sue indagini, mette in discussione il paradigma scientifico dominante, consolidato da un secolo, e osa confutare addirittura il castello scientifico di Giovanni Lilliu, dominus dell’archeologia sarda e dei suoi allievi ed epigoni.
Egli pubblica i suoi studi sulle più prestigiose riviste internazionali, con l’attenzione crescente da parte di ricercatori outsider di varia estrazione (ingegneri, architetti, storici delle religioni, astronomi) nell’indifferenza e nello scetticismo più assoluto degli archeologi sardi i quali, prima bollano come fanta-archeologia, poi osservano un silenzio assordante a fronte delle chiarissime intuizioni del contadino.
Sostenuto dal suo tenace entusiasmo, egli intraprende una sorta di crociata per il riconoscimento delle sue scoperte, che lo porta a coinvolgere i massimi studiosi mondiali di archeoastronomia, che, incredibile dictu, riconoscono in toto la validità dei suoi studi e li portano alla ribalta internazionale, fino alla bibbia della materia, il monumentale trattato “Handbook of archaeoastronomy and ethnoastronomy”, edito dalla Springer di New York.
Oggi, col libro “Nel segno di Orione – da Sid (Osiride) al Sardus Pater – gli atlanti di Monte Prama”, Mauro Peppino Zedda, disvela gli esiti di una nuova, brillante intuizione, foriera di inferenze ancora pienamente da indagare:
Mauro Peppino Zedda parte dall’osservazione che la necropoli di Antas a Fluminimaggiore e quella di Monti Prama a Cabras (da cui provengono i celebri “Giganti”), culturalmente affini, presentano una analoga disposizione delle tombe, dettaglio questo che non sfuggì a diversi archeologi che non ne approfondirono le conseguenze e non colsero l’importanza.
La direzione verso cui sono rivolte le statue dei cosiddetti Giganti (e il volto degli inumati nelle due necropoli), infatti, guarda verso il sorgere della costellazione di Orione nell’epoca presunta di costruzione dei siti.
E stavolta l’epigrafia viene in soccorso dell’archeoastronomia, supportando tale intuizione.
qualche decennio fa, infatti, il prestigioso orientalista belga Edward Lipinski interpretò il nome della divinità Adon Sid Addir B’by a cui era dedicato il tempio punico preesitente a quello Romano, proponendo che Sid fosse la versione fenicia di Osiride, da sempre e classicamente associato a Orione.
Di più: l’orientalista Federico Mazza, direttore del periodico ‘Rivista di studi fenici’, da tempo aveva proposto che B’by fosse il babi egizio (ovvero il protettore, con sembianze da babbuino, della barca solare).
La convergenza di orientamenti delle due necropoli e la convergenza di senso astronomico, sia per quanto emerge topograficamente sia per via linguistica pare evidente.
Un orientamento affascinante, quindi, come vedranno i lettori, nel segno di Orione.
Ma come interpretare la scultura più rappresentativa di Monti Prama, il cosiddetto “pugilatore” con lo scudo sulla testa? La risposta di Zedda è semplice e convincente: «Ci sarei dovuto arrivare prima», osserva l’Autore. Lasciamo ai lettori il piacere di scoprirlo.
La prima parte del libro è dedicata alla cosiddetta “questione Shardana”, cornice propedeutica delle tesi sui due siti di Antas e Monti Prama: gli Shardana evocati da Ramses II sono i nuragici, come ritiene Giovanni Ugas? La tesi di Mauro Zedda esposta in questo libro, è citata e riconosciuta dall’archeologo Sebastiano Tusa.
Un libro per specialisti e per appassionati, che getta luce nuova nei contenuti e nell’approccio metodologico alla ricerca in archeologia e schiude nuovi orizzonti alla ricerca.
Paolo Littarru