L’intero settore agroalimentare sardo rischia di essere messo in ginocchio dagli aumenti di tutte le materie prime, di energia, gas e gasolio determinati dal conflitto in Ucraina. Ma anche da una serie di speculazioni su prodotti che scompaiono improvvisamente dal mercato senza un reale motivo apparente se non quello di farne scorta per poi far rialzare i prezzi. A fare le spese di questa situazione sono soprattutto i piccoli produttori, schiacciati tra due anelli della filiera (Grande Distribuzione e consumatori finali) che devono sperare di avere poche richieste per limitare i danni: vendere sottocosto affosserebbe ulteriormente aziende già in netta difficoltà e con una prospettiva incerta per i prossimi mesi.
Il grido d’allarme arriva dalla CNA Agroalimentare Sardegna.
«A penalizzare i consumatori – sostiene l’associazione di categoria – è, soprattutto, la strutturale dipendenza dell’Italia dalle forniture estere di frumento duro, tenero e mais, con un tasso di autoapprovvigionamento su base nazionale, rispettivamente pari a circa il 60% per il grano duro, 35% per il tenero e 53% per il mais, che espone particolarmente il nostro Paese alle turbolenze dei mercati internazionali.»
«L’escalation delle ultime settimane al confine ucraino ha innescato ulteriori tensioni sui prezzi di tutte le materie prime e in particolare su quelle agricole, inserendosi in una situazione di forte speculazione e grande incertezza già precedente all’attacco bellico e che gli operatori denunciavano da mesi – si legge in una nota della CNA Agroalimentare Sardegna -. Aumento della spesa per famiglie e imprese le quotazioni di grano tenero a livelli mai visti prima d’ora hanno già conseguenze sul mondo della trasformazione e a cascata potrebbero ricadere presto sui consumatori. Il costo della pasta potrebbe superare il 10%, percentuale che si aggiunge all’aumento del 10% avvenuto a fine dello scorso anno. Le quotazioni del grano sono balzate del 5,7% nella sola giornata del 24 febbraio, subito dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, raggiungendo il valore massimo da 9 anni a 9.34 dollari a bushel.»
Oltre all’aumento dei prezzi dell’energia elettrica, del gas, del carburante, le imprese del settore si trovano ad affrontare l’aumento del prezzo delle farine (fino +38% per quelle di grano tenero e a +100% per quelle di grano duro), ma anche di tutti i materiali per l’imballaggio, degli altri ingredienti impiegati, dell’energia e dei trasporti. L’energia è aumentata anche del 300%, a seguire i film plastici, cartone, vetro, imballaggi in genere per circa il 25% in più, migliaia di artigiani e piccole imprese della filiera agroalimentare rischiano la chiusura. Un rincaro “vertiginoso” del grano, che rappresenta, il 60% del costo di produzione della pasta, del pane e dei prodotti da forno in genere, sta facendo il resto.
A tutto questo si segnalano speculazioni diffuse e in particolare su prodotti che scompaiono improvvisamente dal mercato senza un reale motivo apparente se non quello di farne scorta per poi far rialzare i prezzi.
«Per le imprese che lavorano per la Grande Distribuzione Organizzata le situazioni sono talvolta differenti tra loro perché alcuni fornitori riescono a farsi riconoscere gli aumenti di listino, altri no o solo in parte – dichiara Alessandro Mattu, presidente CNA Agroalimentare Sardegna -: in ogni caso anche laddove questi aumenti, pienamente giustificati dai rialzi dei costi delle materie prime, dell’energia, del gas e del gasolio, vengono assorbiti, nel migliore dei casi sono introdotti dalle grandi insegne in maniera gradualmente e non sempre del tutto proporzionale.»
«Il paradosso – conclude Alessandro Mattu – è che le imprese che non riescono a farsi adeguare i listini con i clienti, specie con la GDO, devono sperare di avere poche richieste per limitare i danni perché vendere sottocosto affossa ulteriormente aziende già in netta difficoltà e con una prospettiva incerta per i prossimi mesi. Il consumatore finale ha toccato con mano il rincaro dell’energia elettrica ed è dunque consapevole che certi aumenti sono inevitabili, ma tende a vedere delle azioni di mera speculazione proprio da chi opera nel mercato locale, mentre invece noi piccoli produttori siamo schiacciati tra due anelli della filiera e spesso appariamo i responsabili di situazioni di cui noi stessi siamo vittime. Tuttavia, anche laddove questi aumenti vengono compresi dal mercato, stiamo andando ad incidere su portafogli già duramente provati su ogni fronte e all’indomani di una pandemia.»