Una netta ripresa del comparto agroalimentare e in particolare del settore lattiero caseario permette ai prodotti sardi di rimanere ancora sui mercati internazionali. Nel 2019 le vendite di Pecorino Romano e Fiore Sardo hanno avuto un’impennata arrivando a 158 milioni di euro, un valore non distante dal record di 162 milioni di export registrato nel 2015. Si tratta di un dato estremamente significativo perché il lattiero caseario rappresenta l’unica realtà industriale regionale con una filiera “quasi” completamente locale che assorbe una quota del 62% di tutto il settore agroalimentare isolano. In attesa di misurare l’impatto dell’emergenza sanitaria sugli scambi internazionali nel 2020, in base ai dati appena pubblicati dall’Istat la Sardegna chiude il 2019 con un bilancio negativo. Considerando il totale del valore delle merci esportate dalle imprese sarde, l’anno appena passato si è chiuso con una contrazione del -1,4%, calo che permane (-1,2%) anche quando si elimina dal computo il settore petrolifero.
Il calo del 2019 arriva dopo un 2018 positivo che si era chiuso con una crescita, sempre al netto del comparto petrolifero, pari al +4,1%, crescita in quel caso trainata dalle vendite di prodotti chimici e farmaceutici (+27%) e dell’industria metallurgica (+8,3%). Molto male, invece, erano andate le cose nel settore agroalimentare, che proseguiva un calo di durata ormai triennale.
«In un periodo nel complesso negativo le vendite di prodotti agroalimentari sono state in controtendenza – commentano Pierpaolo Piras e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -: lo scorso anno si è registrato un +5,5%, pari a 8 milioni di euro in più nelle casse dei produttori isolani e questo dato riflette il risultato eccezionale delle vendite di prodotti lattiero caseari (+12,5%). La speranza è che l’emergenza sanitaria globale in termini di impatto limiti i suoi effetti ai soli prossimi mesi, ma siamo in un territorio del tutto inedito che non consente previsioni.»
Crollo delle esportazioni di armi
La ricerca della Cna evidenzia di contro il risultato negativo dell’industria chimica e farmaceutica (-6,5%) e dell’industria metallurgica (-5,6%): questi due settori, che da soli rappresentano il 35% del totale dell’export sardo non petrolifero, vedono invertirsi una tendenza di crescita che durava da un biennio per il settore chimico e da un quadriennio per il metallurgico (dal 2015 al 2018). Va però evidenziato come negli ultimi anni le dinamiche dell’industria sarda dei metalli sono state condizionate dalle vendite all’estero di una particolare tipologia di prodotto: armi e munizioni. Proprio questo comparto, dopo un triennio eccezionale (era arrivato a rappresentare il 40% di tutto il valore dell’export del settore metallurgico nel 2018 per un valore pari a circa 100 milioni di euro), ha visto quasi azzerarsi le esportazioni nel 2019 (-83%, appena 15,8 milioni) a causa del blocco delle vendite all’Arabia Saudita imposto dal governo alla fabbrica RWM di Domusnovas e che, come conseguenza, ha indotto una nuova vertenza industriale nel Sulcis: oltre 150 posti di lavoro a rischio su 350 addetti totali.
Tabella 1 – Export regionale (milioni di euro) e variazione percentuali tendenziali
2018 | 2019 | Quota sul totale
non petrolifero |
Var.%
2018 |
Var. %
2019 |
|
Prodotti dell’agricoltura, silvicoltura e pesca | 21 | 13 | 1,3% | 63,3% | -40,3% |
Industria estrattiva | 63 | 59 | 6,1% | 8,0% | -6,6% |
Alimentari | 154 | 162 | 16,7% | -14,7% | 5,5% |
Tessili e abbigliamento, pelli | 20 | 18 | 1,9% | -3,0% | -8,7% |
Legno e carta | 27 | 25 | 2,6% | 11,5% | -7,7% |
Industria petrolifera | 4.744 | 4.676 | – | 7,2% | -1,4% |
Industria chimica e farmaceutica | 282 | 263 | 27,1% | 27,3% | -6,5% |
Plastiche non metallifere | 20 | 18 | 1,9% | 17,6% | -8,8% |
Industria metallurgica | 242 | 228 | 23,5% | 9,1% | -5,6% |
Elettronica, ottica e apparecchi elettrici | 22 | 18 | 1,9% | -2,2% | -17,6% |
Altri macchinari | 54 | 34 | 3,5% | -3,3% | -36,9% |
Mezzi di trasporto | 33 | 61 | 6,3% | -57,4% | 85,4% |
Altro manifattura | 4 | 4 | 0,4% | -51,1% | 7,8% |
Energia e trattamento rifiuti | 27 | 21 | 2,2% | 42,7% | -22,7% |
Altro | 15 | 46 | 4,7% | 144,4% | 217,1% |
Totale | 5.727 | 5.646 | – | 6,6% | -1,4% |
Totale senza industria petrolifera | 983 | 971 | 100,0% | 4,1% | -1,2% |
Fonte: Elaborazioni Cna Sardegna su dati Istat
La ripresa del lattiero caseario
Tornando alle dinamiche generali, l’analisi dell’andamento delle esportazioni per destinazione evidenzia come a trascinare in negativo il saldo dell’export siano state le minori vendite registrate al di fuori dei paesi dell’Unione Europea (-5%), a fronte di una crescita sostanziale che si registra nella UE (+3,4%). Anche in questo caso, il settore lattiero caseario si mostra in controtendenza: le vendite di formaggi sardi sono infatti cresciute del 23% al di fuori della UE, ma sono nel complesso diminuite nei paesi dell’Unione Europea (-5%).
Quando si parla di esportazioni nel comparto lattiero-caseario si fa ovviamente riferimento al mercato del pecorino. Considerando tutto il mercato estero di Pecorino Romano e Fiore Sardo, il 2019 si è chiuso con un’impennata del valore delle vendite, arrivate a 158 milioni di euro, un valore non distante dal record di 162 milioni di export registrato nel 2015.
Le dinamiche negli anni successivi erano state altalenanti e nel complesso negative, per questo il dato del 2019 appare doppiamente positivo. Buona parte delle performance del principale prodotto di esportazione sardo sono però legate alla volatilità dei prezzi alle esportazioni. Non a caso il 2015 aveva rappresentato il picco massimo dell’ultimo decennio (oltre 9 euro al kg la media annua, quotazioni ufficiali della piazza di Milano per prodotto con oltre 5 mesi di stagionatura), prezzo poi letteralmente crollato nel biennio successivo (prezzo minimo di 5 euro al kg toccato a luglio 2017); dopo un 2018 altalenante, il 2019 ha rappresentato un anno di costante ripresa delle quotazioni, risalite fino a 7 euro al chilo a dicembre, un trend di crescita proseguito fino a inizio marzo 2020 (7,2 euro al kg). Il livello del prezzo dipende, ovviamente, dalla quantità di prodotto presente sul mercato e dalla domanda espressa dai principali mercati di sbocco, soprattutto quello nordamericano. Per questo è auspicabile che l’emergenza sanitaria in atto possa avere un impatto limitato sul settore agroalimentare e che la dinamica del prezzo del prodotto finito possa contribuire alla sostenibilità della filiera regionale.