«La notizia del progetto del nuovo Galsi che potrebbe passare in Sardegna, è una notizia positiva anche se non basteranno 10 o 15 anni per vederlo in funzione. Come Associazione imprenditoriale siamo favorevoli a questa ripartenza e a tutto ciò che permetterà, ora e nel futuro, di poter fruire di energia pulita, a basso prezzo e, soprattutto, che possa provenire da più canali di approvvigionamento. Tutto questo a patto che si rispettino i vincoli ambientali, quindi avendo il minore impatto possibile sull’ambiente, che si tagli la burocrazia, si utilizzino imprese e manodopera sarda insomma, che si faccia presto e bene. Di tutto questo saremo guardiani e non transigeremo.»
E’ questo il commento di Confartigianato Imprese Sardegna, alla notizia della ripresa della costruzione del nuovo gasdotto Galsi, che avrà i sui hub nell’Isola e che trasporterà anche idrogeno, ammoniaca ed elettricità, sancita dall’accordo tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni ed il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune.
«Dobbiamo dirlo subito e chiaramente: abbandonare la costruzione del Galsi è stata una scelta disastrosa, poco lungimirante e senza prospettive fatta, tra l’altro, senza creare alternative che si sarebbero potute avere incentivando, e non ostacolando, le energie alternative e rinnovabili – commentano Maria Amelia Lai e Daniele Serra, presidente e segretario di Confartigianato Imprese Sardegna – ancora non sono chiare quali siano state le vere ragioni della non costruzione del metanodotto, se tecniche o se prive di ritorno economico, ma a causa di tutto questo, le imprese sarde e i cittadini si trovano a pagare un prezzo altissimo e a stare in una condizione dalla quale sarà molto difficile uscire, almeno in tempi brevi. Dobbiamo, inoltre, ricordare che Galsi era incluso nella lista dei Progetti di Interesse Comunitario. La Commissione Europea ne aveva confermato il ruolo strategico per la UE stanziando un finanziamento a fondo perduto per il progetto di 120 milioni di euro, nell’ambito del pacchetto di misure anticrisi (EEPR) già nel 2018. Noi di questi fondi abbiamo perso traccia. Di certo c’è che, purtroppo, la Sardegna ha perso 22 anni di tempo e di sviluppo, ostacolata da scelte politiche miopi, eccessiva burocrazia, e visioni prospettiche limitate, retrograde e chiuse al futuro. Nel frattempo si è impedito tutto e non si sono volute trovare le soluzioni.»
«Su tutto questo non dobbiamo dimenticare che ci si gioca una fetta enorme di competitività con le altre regioni e zone europee – aggiungono Maria Amelia Lai e Daniele Serra – già 10 anni fa, una nostra indagine rivelava come ogni azienda sarda spendeva ben 2.708 euro in più rispetto alle altre aziende europee e 932 euro in più rispetto alle altre regioni italiane. In pratica l’1,03% del valore aggiunto svaniva in maggiori oneri energetici. Se in media ogni azienda italiana pagava l’energia elettrica 1.776 euro all’anno in più rispetto agli imprenditori europei, questo gap si allargava a 3.151 euro per ogni impresa del Friuli Venezia Giulia, seguita al secondo posto dalle imprese della Sardegna con 2.708 euro e si restringeva, all’ultimo posto, con i 954 euro della Calabria. Oggi, a causa del caro energia, sono sotto attacco circa 95mila micro e piccole imprese della Sardegna, quelle sotto i 10 dipendenti la situazione ha fatto registrare nel 2022 un aggravio di quasi 850 milioni di euro, determinando un aumento del +147,1% rispetto allo scorso anno, quarto maggior incremento in tutta Italia, contro una media nazionale del +135%.»
«Tutto ciò – concludono Maria Amelia Lai e Daniele Serra – potrebbe rappresentare anche un’importante opportunità per riconvertire territori, come quello del Sulcis, in forte difficoltà per la decennale crisi del polo di Portovesme, per sostenere la crescita di quelli già in crescita, come potrebbe accadere la Gallura, o per creare sviluppo e ulteriori opportunità d’impresa, in tutti gli altri territori.»