Il Consorzio di tutela del Pecorino Romano DOP si opporrà con tutti i mezzi legali alla costituzione di una DOP cacio romano a tutela non solo del comparto che conta 15.000 operatori con un fatturato al consumo di circa 600 milioni, di tutte le indicazioni geografiche ma anche del consumatore, che rischierebbe di essere clamorosamente tratto in inganno al momento della scelta del prodotto. Allo stesso tempo il Consorzio avvierà una battaglia con le istituzioni europee contro l’ordinanza della Cassazione che ingiustamente riconosce la legittimità dell’uso di un marchio che ricalca il nome della storica DOP.
La domanda di riconoscimento della DOP cacio romano è stata in più occasioni archiviata dal Mministero dell’Agricoltura; non si comprende come un discutibile uso di un marchio individuale circoscritto nel tempo e non corrispondente ad alcuna tradizione produttiva possa ora diventare una dop concorrente, con il concreto rischio di minare la tenuta di decine di migliaia di aziende.
«Abbiamo preferito attendere, e dopo una compiuta analisi, esprimerci sul contenuto di un’ordinanza che, a volerla analizzare anche con gli occhi di un non addetto al settore, appare pregiudizievole per tutto il sistema delle produzioni di qualità, nessuno escluso», dice il presidente del Consorzio, Gianni Maoddi.
«L’ordinanza della Cassazione di fatto dichiara legittima l’esistenza sul mercato del cacio romano, sottolineando che non c’è assonanza che possa creare confusione fra i due prodotti né trarre in inganno i consumatori. Questa incredibile decisione dei giudici della suprema corte butta via anni di sacrifici e di duro lavoro, e peggio ancora la richiesta del riconoscimento di una dop. La politica – sottolinea Gianni Maoddi – non può ignorare quello che sta accadendo, e deve sostenere non solo battaglie all’estero, come per esempio quella giustissima sul Nutriscore, ma anche battaglie interne al nostro Paese come questa. Facciamo appello anche alle associazioni di categoria affinché sostengano le nostre ragioni, a tutela di tutti.»
Il Pecorino Romano, infatti, oltre che in Sardegna conta su importanti realtà anche in Lazio e Toscana: parliamo nel complesso di 12mila allevamenti ovini che conferiscono latte per la produzione della nostra DOP e di circa 3.000 persone impegnate nella trasformazione e commercializzazione. Numeri che la dicono lunga su quanto importante sia la ricaduta economica e occupazionale in tutte e tre le regioni interessate.
«Ma a chi giova tutto questo? La domanda sorge spontanea all’indomani di una decisione che, tra gli innumerevoli sostenitori del made in Italy e del sovranismo nostrano avrebbe dovuto, quanto meno, determinare una levata di scudi in favore della denominazione, primo fra tutti il ministero dell’Agricoltura, e invece tutto tace. Si assiste – incalza Gianni Maoddi – alla sola schizofrenica presa di posizione di chi al mattino combatte contro l’Italian sounding, il pomeriggio aderisce alla causa contro il Consorzio e la sera promuove la creazione di una DOP cacio romano con l’obiettivo di indebolire e dividere una filiera fondamentale per i territori di produzione. La nostra è, e sarà, una battaglia per la tutela di un patrimonio collettivo, per tutti coloro che operano nella filiera e per le loro famiglie, nonché per le Istituzioni italiane che hanno la responsabilità e dovere di tutelarle. Ogni e più opportuna azione sarà intrapresa, a tutti i livelli nazionali ed europei», conclude il presidente del Consorzio.