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Il protocollo d’intesa della filiera del latte vaccino ha portato qualche sospiro di sollievo nelle stalle della Penisola, un po’ meno in Sardegna

10 Gennaio 2022
in Economia
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Il protocollo d’intesa della filiera del latte vaccino ha portato qualche sospiro di sollievo nelle stalle della Penisola, un po’ meno in Sardegna

La notizia sul via libera al Protocollo d’intesa della filiera del latte vaccino con un aumento del prezzo del prodotto pagato agli allevatori ha portato qualche sospiro di sollievo nelle stalle della penisola e un po’ meno in quelle della Sardegna. Il provvedimento, sottoscritto lo scorso 9 novembre al ministero delle Politiche agricole, tra allevatori, industria della trasformazione e grande distribuzione, punta ad un sostegno del reddito degli allevatori in questo momento di emergenza dovuto all’aumento dei costi di produzione: energia, carburanti e materie prime. Il premio “Emergenza stalle”, operativo fino al 31 marzo 2022, prevede un sostegno di 3centesimi a litro che la grande distribuzione si impegna a trasferire alle imprese della trasformazione che a loro volta lo dirotteranno agli allevatori fino a raggiungere un prezzo massimo di 41 centesimi a litro. Nel caso in cui non si arrivi a tale soglia è prevista una possibile integrazione di un altro centesimo che potrà essere erogato dalle imprese di trasformazione. L’intervento finanziario non ha finora avuto grande plauso da parte degli allevatori sardi che lamentano una scarsa consistenza del premio capace di influire poco sul sistema di produzione su cui grava sempre il macigno dell’insularità, con costi di trasporto in entrata e in uscita troppo alti.

Dati sul comparto. Nelle circa 250 stalle presenti in Sardegna vengono allevati oltre 55mila capi: per il 95% di razza Frisona italiana. Poco più del 90% di queste imprese opera nell’Oristanese. Negli ultimi anni sono stati raccolti in media 205 milioni di litri di latte a stagione, per un giro d’affari che con l’indotto si aggira sui 500 milioni di euro. Il fabbisogno dei consumi regionali è coperto dalle produzioni locali e circa 50 milioni di litri prendono la via dei mercati d’oltre Tirreno fra latte e trasformati caseari. La cooperativa 3A di Arborea raccoglie quasi il 95% del latte sardo. Circa il 50% della sostanza secca (cereali e mangimi vari) consumata dai bovini arriva da fuori regione. Nel 2021, nel giro di pochi mesi, tali materie prime sono aumentate fino al 50%.

Il presidente di Confagricoltura Sardegna. «Si tratta di un intervento interessante su cui impostare azioni future e che, pur non risolvendo il problema, assicura un sostegno molto atteso nelle stalle della nostra regione, dove tuttavia le esigenze sono molto diverse e quindi i costi di produzione molto più alti rispetto alle altre realtà della penisola.»
Lo ha detto il presidente di Confagricoltura Sardegna, Paolo Mele, nel commentare l’avvio del premio “Emergenza stalle”. «Le aziende sarde – ha ricordato Paolo Mele – devono affrontare la stangata dell’insularità. Un peccato originale con cui fare i conti nel momento in cui arrivano le merci e, se va bene, quando riprendono il mare. Nonostante questa condizione di crisi, riusciamo ancora a mantenere margini di competitività che con l’ultimo aumento dei prezzi rischiano di svanire. Ecco che i tavoli sul PNRR – ha concluso – dovrebbero finalmente portare la politica regionale e nazionale ad affrontare con coraggio tale criticità che rischia di far collassare le esperienze di impresa virtuose esistenti e di ostacolare quelle sul nascere.»

Gli allevatori. Se in questi mesi il comparto regionale fa fatica a reggere l’impennata dei costi di produzione, ci sono realtà esterne al distretto Oristanese che arrancano ancora di più. Fino a una cinquantina di anni fa dalla Nurra fino alla bassa Gallura passando per le pianure dell’Ozierese operavano in cooperativa quasi 150 stalle. Oggi sono rimasti pochi coraggiosi imprenditori che continuano a lavorare con circa 1.600 capi in mungitura.

Mores ed Ardara. «L’inizio della fine è arrivato con l’istituzione delle quote latte: prima ci siamo indebitati e poi, quando sono state cancellate, ci sono rimasti gli investimenti non ammortati che hanno portato alla chiusura di numerose aziende. Oggi con questi 3 centesimi di integrazione per appena tre mesi, su un latte pagato a 34centesimi più iva e i premi comunitari, dove vogliamo andare? Con l’aumento del 55% dell’energia elettrica, piuttosto che di gas, gasolio, concimi e di tutte le materie prime rischiamo di non uscirne.»
Lo ha detto Angelo Madau, 73 anni, ultimo rappresentante di una generazione di allevatori tra Mores e Ardara. In queste terre accudisce 500 vacche di razza Frisona olandese e italiana, di cui il 50% in produzione.

«Ad inizio 2021 pagavo la farina di mais 23euro al quintale, oggi è schizzata a 35 più iva. Lo stesso è successo con soia e piselli aumentati tra il 40 e 45%. È avvilente lavorare in queste condizioni e assicurare sempre un latte eccellente e qualitativamente sicuro sul piano alimentare e sanitario.»

Terralba. Giorgio Sequi, allevatore di Terralba, ha in azienda 500 Frisone italiane, di cui 230 in produzione. Anche lui lamenta la forte crescita dei prezzi: «Soia, mais e altri mangimi sono in continuo aumento e a ciò bisogna aggiungere i costi del trasporto dal continente con ulteriori incrementi dai 5 ai 7 euro a quintale. Con il latte pagato in acconto a 36centesimi e la costante lievitazione verso l’alto dei prezzi di produzione anche il premio “Emergenza stalle” risulta essere incisivo fino a un certo punto, ma comunque insufficiente. I nostri animali sono allevati in condizioni di benessere animale e il latte italiano è il più controllato d’Europa. Ciò che viene fuori dalle stalle non è tutto uguale: c’è qualità e qualità e per garantire questi standard le nostre spese sono notevoli».

Ma le economie del comparto non si basano solo sul latte e suoi derivati, ma anche dalla vendita delle carni dei vitelli maschi o degli animali a fine carriera. Buona parte di tali vitelli, nella sola area dell’Oristanese si parla di circa 10mila capi all’anno, fanno un primo passaggio nei punti di ingrasso locali e poi prendono la via della penisola dove completano il ciclo. In questa operazione il vero guadagno non rimane nelle tasche dell’allevatore sardo, che dalla vendita rischia a volte di non rientrare dei costi di mantenimento, ma del centro di ingrasso extra regionale.

«I conti sono presto fatti: devo tenere il vitello in azienda per almeno 30 giorni con una spesa di circa 90euro. A seconda del peso a me viene pagato tra i 60 e i 100euro a cui devo aggiungere le spese di trasporto fuori Sardegna».

Arborea. «Portare avanti un allevamento in momenti di crisi come questi significa esporre doppiamente le aziende sul piano finanziario. Il nostro lavoro è una macchina che non si può fermare, è a ciclo continuo. Non possiamo sottrarci a impegni come assicurare una giusta assistenza sanitaria e alimentare agli animali o i controlli sul prodotto. Alla crisi si deve aggiungere che in Sardegna dobbiamo affrontare i costi sull’insularità che, oltre a incidere sul prezzo delle materie prime, fanno lievitare quelli di energia e carburanti, sempre più cari rispetto alle realtà del nord Italia dove, tra Lombardia, Veneto ed Emilia, si concentrano buona parte delle stalle nazionali.»

Lo ha detto Emanuele Balliana, allevatore 46enne di Arborea con 450 capi in azienda di cui 250 in mungitura.

«Produrre latte in territori geograficamente più caldi è notevolmente difficile e impegnativo rispetto ai paesi nordici, storicamente vocati per tali attività. Inoltre, i cambiamenti climatici sono sempre più marcati e per poter far fronte a questo sono necessari maggiori investimenti strutturali nel sostenere il benessere animale: aspetto centrale dell’allevamento. Più ci si sposta a sud e più le stalle devono dotarsi di sistemi di raffrescamento, come ventilatori e spruzzatori per ristorare le vacche nei mesi estivi. Lo stesso accade nella lavorazione delle colture con un maggior impiego di acqua.»

Tags: Angelo MadauEmanuele BallianaGiorgio SequiPaolo Mele
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