«La nostra riflessione sui valori che Sa Die rappresenta ed evoca nel popolo Sardo, si riempie di contenuti antichi nuovi ed assume una dimensione simbolica che interpella la nostra capacità di resistere, di essere forti, che è insita nell’identità del nostro Popolo insieme alla capacità di riprendersi e di ripartire superando anche questa ennesima tragedia della Storia. Uniti per ripartire.»
Lo ha detto il presidente della Regione, Christian Solinas nel suo intervento, tutto in sardo, in Consiglio regionale, nel corso delle celebrazioni, fortemente ridotte per via del Coronavirus, de Sa Die De Sa Sardigna, la festa del popolo sardo che oggi ha avuto un significato ulteriore, di ripartenza della Sardegna di costruzione di un futuro che – ha detto Solinas – «dobbiamo disegnare sicuramente nella nuova normalità che deve essere restituita a ciascun sardo. Come un tempo cacciammo gli oppressori, così oggi dobbiamo scacciare il virus dalle nostre vite e dobbiamo ritenerci tutti impegnati in questa grande battaglia per ritornare ad una vita il più possibile normale».
L’intervento del presidente della Regione
La Storia ha messo spesso dinanzi alla nostra Terra ed al nostro Popolo numerose prove: calamità naturali, carestie, invasioni, saccheggi, dominazioni, siccità ed epidemie. Sofferenze e solitudini profonde, mali ancestrali che hanno segnato il modo di essere di ciascuno di noi, delle nostre comunità; il modo di costruire i nostri rapporti, il nostro linguaggio e le nostre tradizioni. In altri termini, la nostra identità collettiva di oggi è il portato di una tradizione che si rinnova, dinamicamente, giorno per giorno, che si costruisce nel fare, nel pensiero e nella comunicazione ma sempre con il passo che proviene da un vissuto sedimentato, che rappresenta la lente attraverso la quale, da sardi, guardiamo il mondo e noi stessi.
Non è un caso che il compianto prof. Giovanni Lilliu abbia acutamente affermato che “i Sardi pensano in tondo”. Perché, a ben guardare la nostra è una cultura circolare, da sempre. Non c’è la sintesi dimensionale che si proietta nel vertice delle piramidi o del frontone dei templi greci. Tondi sono i nuraghi ed il cerchio distingue le loro planimetrie, come per i pozzi sacri, come per i principali oggetti dell’artigianato artistico – i cestini, le collane – e per gli ovili. Tondo è il ballo e nella forma del cerchio si canta a tenore. Per le decisioni importanti della comunità ci si siede in tondo, tutti alla pari pur nella diversità dei ruoli.
Questa giornata offre l’opportunità di andare oltre la celebrazione ed il rito, che pure sono importanti nelle cose dell’uomo: è la giornata di noi sardi, della Sardegna! Una data evocativa, come è stato ricordato da molti, di un fatto storico, di coscienza nazionale, di costruzione di un esperimento autonomistico compiuto dopo secoli dall’età giudicale ed in armonia coi fermenti rivoluzionari ed illuministici, sintetizzati nei principi universali della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza.
Ma l’attualità dei valori identitari de Sa Die si misura oggi con un tempo particolare, che propone interrogativi nuovi e ci porta su nuove trincee a combattere con una pandemia subdola e letale, con un virus che sta colpendo in modo feroce la nostra quotidianità, i nostri anziani e non solo. Un’epidemia che stiamo contrastando senza quartiere, con poderose misure di contenimento che hanno costretto per settimane tutti i Sardi a sacrifici enormi, che stanno provando pesantemente le nostre imprese, i lavoratori, il nostro tessuto economico e produttivo.
In questo tempo, la nostra riflessione per Sa Die si riempie di contenuti nuovi ed assume una dimensione simbolica che interpella la nostra capacità di resistere, di essere forti ed invoca nell’identità del nostro Popolo la capacità di riprendersi e di ripartire, superando anche questa ennesima tragedia della Storia.
Lo abbiamo scritto: La Sardegna è più forte.
La tenacia. La nostra forza. Uniti per ripartire.
Il mondo non viveva un’emergenza di simili dimensioni dall’ultima guerra mondiale del secolo scorso. E questa è come se fosse, con contorni nuovi e differenti, una terza guerra mondiale che l’umanità nel suo complesso combatte nei confronti di un nemico invisibile, di un virus che si propaga e s’insinua ovunque mietendo vittime e lasciando uno strascico di dolore e paure.
Nella nostra Isola abbiamo tenuto sotto controllo la diffusione dei contagi, limitando i danni sanitari. Ma ora, come dopo ogni guerra, pur con la prudenza che è dovuta, con l’osservanza di un principio di massima cautela nell’adozione di adeguate misure di prevenzione e protezione, dobbiamo avviare la ricostruzione, aprire il percorso verso una nuova normalità che consenta ai Sardi di uscire gradualmente dall’isolamento e riprendere a costruire valore ed occupazione.
Il 28 aprile 2020 assume, dunque, un significato simbolico attualizzato: come nel 1794 scacciando il Viceré ed i funzionari piemontesi si scacciavano idealmente i soprusi di una dominazione soffocante e non più tollerabile per le città e per le campagne, per gli stamenti e per il nuovo ceto emergente della borghesia commerciale, oggi facciamo appello all’unità del nostro Popolo per scacciare l’epidemia, per eliminare la catena dei contagi e per ripartire tutti insieme.
Anche questa esperienza negativa concorrerà a plasmare la nostra identità collettiva. Soprattutto nell’insopprimibile urgenza di risolvere il conflitto sempre più evidente del rapporto con una dimensione globale della realtà, del continuo intrecciarsi tra culture ed istanze le cui distanze sono polverizzate dal progresso e dalla rapidità degli strumenti moderni, a partire dalla tecnologia. Dal mio punto di vista, la lezione di questo tempo conferma il bisogno di affrontare il confronto con la grande ricchezza delle diversità, assumendo una compiuta e matura consapevolezza dell’identità sarda, che non è contemplazione sterile di un vissuto lontano, eredità materiale o immateriale di esperienza altrui, ma appartenenza ragionata ad una cultura e ad una tradizione che incidono nella costruzione di ogni nostro pensiero o azione oggi, portandoci a leggere le cose del mondo che viviamo secondo un paradigma antropologico che orienta le reazioni alle sollecitazioni esterne del singolo e della comunità. L’omologazione non ha convenienze per nessuno, è algebricamente a somma zero. La convivenza globale, nel rispetto reciproco, di differenti identità rappresenta invece l’orizzonte culturale più ricco e generoso, al quale da sardi – e per me, ancor di più, da sardista – non possiamo che guardare con favore. L’identità che nasce dalla consapevolezza di sé è la risultante di un confronto che riconosce le diversità, ne comprende e rispetta il valore.
La sardità è, dunque, la coscienza collettiva del nostro Popolo che declina nel tempo presente i suoi valori storici, tradizionali, culturali, artistici, paesaggistici e linguistici. Questo processo di attualizzazione costante rende ancora oggi effettiva e viva la nostra identità, dando un senso chiaro a questa giornata ed alla sua celebrazione. E’ per questo che affermiamo con convinzione la nostra volontà di misurarci da sardi col presente e da sardi disegnare il nostro futuro, rispondendo per ogni nostra azione alle due domande fondamentali che ho proposto fin dalle dichiarazioni programmatiche al principio dei questa legislatura: quale vantaggio per la nostra Isola? Quale profitto per i Sardi? Se questo è il percorso tracciato, dobbiamo avere il coraggio e la forza di essere noi stessi anche nel più potente elemento creatore dell’esistenza, la parola. Ciò significa restituire ai Sardi la propria lingua, la lingua delle proprie madri, riconciliare finalmente al significato di ciascuna descrizione, fattuale o emotiva, il proprio significante. E’ vero, il linguaggio fondamentale dei sardi è il silenzio, è fatto spesso di espressioni statiche. Il che non significa non comunicare o peggio non avere niente da dire: no, le parole sono poche, perché la parola è un rischio nel vissuto storico dei sardi ed è difficile, nella nostra cultura, tornare indietro da ciò che si è detto. Per questo, l’utilizzo delle parole è parsimonioso: poche, ma ogni frase è quasi una sentenza, soprattutto in quella riserva perenne di valori e tradizioni rappresentata dal mondo agropastorale. Anche la gestualità è composta, mira a non lasciar trasparire lo stato d’animo. Per quanto, in pochi tratti, raggiunga una potenza espressiva disarmante, come nella semplice traiettoria di uno sguardo. Eppure, l’impronta più chiara dell’identità è proprio la lingua. Parlare più lingue è un valore confermato da tutti gli studi. Ogni lingua rappresenta il mondo in maniera differente, perché nel segno grafico o fonetico di una parola racchiude il vissuto storico ed esperienziale di una comunità. Parlare la nostra lingua ci colloca nel mondo secondo la nostra identità e ci consente di vivere esperienze soggettive, ritrovando il termine più adeguato per ogni concetto.
Sa limba sarda at boghe e sonu, cantat, e su sonu tenet su matessi importu de su significadu de sa paraula. Sa limba faeddat diversamente su tempu presente.
A faeddare in sardu cheret narrere a seperare unu modu particulare de isviluppu, una creschida a torracontu de sa zente de su logu.
Oe podimus narrere in limba cosas chi no amus potidu narrere in passadu, e gasi faeddare unu tempus nou de libertade. Una limba sarda aperta a su cambiamentu e a s’arrichimentu. Una manera de faeddare est una manera de faghere. Sa limba no est solu unu mediu de comunicare, est finzas una testimonia de sentidos, de afetos e de pensamentos.
Stiamo per liberare i sardi da settimane di quarantena, dovuta all’emergenza epidemiologica. Non possiamo tenere la lingua rinchiusa in casa, confinata. Dobbiamo liberare anche lei, perché si possa parlare in sardo in qualunque luogo o attività della vita quotidiana: a scuola, in ufficio, nelle istituzioni o in chiesa. Oggi più che mai abbiamo dinanzi l’esigenza di approntare progetti e programmi, con una fede e una speranza rinnovate, per ricostruire quanto è stato compromesso dall’ultima emergenza e da un lungo tempo di crisi. Dobbiamo indicare una via di crescita e di sviluppo per tutto il Popolo Sardo. Lo dobbiamo fare ora, partendo proprio da qui, da Sa die de Sa Sardigna che ci richiama a valori comuni di unità e di condivisione.
Amus cosas de contare e de produire: b’at meda de narrere e meda prus de faghere.
Ancora una volta viviamo il tempo cristallizzato da Francesco Ignazio Mannu nell’ultima strofa del suo componimento divenuto Inno ufficiale della Sardegna. Siamo tutti chiamati alla medesima responsabilità ed a contribuire a risollevare la nostra Isola da questa congiuntura storica, sociale ed economica:
Como ch’est su filu ordidu
A bois toccat a tèssere,
Mizzi chi poi det essere
Tardu s ‘arrepentimentu;
Cando si tenet su bentu
Est prezisu bentulare.
Cari Sardi, Augurios sìncheros de bona Die de sa Sardigna. Augurios mannos pro sa Festa de su Populu nostru.