«Le carenze di personale infermieristico pesano come macigni e rappresentano un colpo di mannaia che si abbatte ogni giorno sulla stabilità del nostro sistema sanitario. Ma, soprattutto, la cronica emorragia di personale e quella disorganizzazione, quel pressappochismo della pubblica amministrazione, che si traducono nell’immobilismo delle assunzioni, finiscono con il penalizzare gravemente la salute del paziente. Lo dimostrano i dati dell’indagine australiana pubblicata su Lancet. Cosa centra l’Australia con noi?
I conti si fanno presto e sono impietosi. Se oltre Oceano la realtà sanitaria ci racconta di una invidiabile efficienza legata alla presenza di 1 infermiere ogni 4 pazienti, cosa succede se a questi dati paragoniamo la media Ocse del nostro Paese? 1 infermiere ogni 11 pazienti. La recente indagine pubblicata dall’Ocse racconta di una Italia dove la sanità è fragile come un castello di carta: con una media infermieri molto più bassa rispetto agli altri paesi europei. Come noi o forse peggio di noi c’è solo la Spagna. A questa indagine si unisce quella recentissima della Fnopi, emersa durante l’ultimo congresso nazionale. La carenza base di infermieri tocca le 60mila unità. A questi dati, per quanto ci compete come organizzazione sindacale, vanno certamente aggiunti i colleghi che sono andati in pensione nell’ ultimo anno (quota 100 e procedure ordinarie) e quelli necessari per integrare gli organici a seguito dell’avvenuta costituzione in disponibilità di circa 3.500 nuovi posti di terapia intensiva, in ossequio ai provvedimenti governativi adottati negli ultimi 16 mesi. E allora ecco che ci avviciniamo a quel numero totale di 80/85mila infermieri, secondo nostri nostri report, che mancano all’appello, mettendo a dura prova le nostre già deficitarie risorse. Ma purtroppo le carenze non si fermano solo a questi dati.
La glacialità dei numeri dei nostri report, per dirla tutta, parlano anche degli infermieri che dovranno essere assunti per dare corpo e gambe al PNRR voluto da Draghi, senza dei quali certo non potranno aprirsi i 380 ospedali di comunità (ridotti, erano 753) e le 1288 case di comunità (dovevano essere 2.575) annunciati con rulli di tamburi e strombazzate, e aggiungiamoci pure, ma solo per ragioni di coerenza ed oggettività, quei 9.600 infermieri di famiglia che il Governo ha già autorizzato alle regioni, ma dei quali solo poche centinaia sono stati ingaggiati da alcune sparute ASL sul territorio. Allora ecco che questa bella Italia raggiunge carenze di infermieri in organico degne del terzo mondo, altro che chiacchiere…».
Lo ha scritto, in una nota, Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Ma cosa succede? Eppure gli infermieri italiani rappresentano tra le professionalità più ambite e ricercate nel Vecchio Continente. Un giovane infermiere neo laureato che decide subito di lavorare all’estero, rispondendo alle numerose offerte di lavoro che arrivano ogni giorno, fa carriera immediatamente, per le conoscenze che vanta e la solidità del suo percorso di studio. Non dimentichiamo che i tre anni che portano alla nostra laurea si accompagnano a tre anni costanti di tirocinio. Un giovane infermiere neo laureato italiano è già pronto per il mondo del lavoro. Eppure le nostre Regioni non sanno coordinarsi tra di loro per assumere in modo capillare, omogeneo e costante, e questo rende sempre più debole la sanità pubblica, e pesa come un macigno sulla crescita della sanità territoriale, favorendo lo stallo della sanità privata dove la carenza di infermieri ha superato ogni soglia.
Cosa ne consegue? Che senza una sanità territoriale forte, senza una massiccia dose di nuove leve a supportare la sanità pubblica, senza la libera professione degli infermieri pubblici per supportare la deficitaria realtà delle Rsa, aumenta solo il peso dei ricoveri e le realtà ospedaliere, vetuste e disorganizzate, non reggono l’impatto quotidiano.
L’indagine Lancet evidenzia come in Paesi come l’Australia la presenza massiccia dell’infermiere equivale a una sanità efficiente, tempestiva ed anche a un risparmio economico notevole. Il rapporto di 1 infermiere su 4 pazienti si traduce in un calo del 7% delle probabilità di morte o riammissione e in una riduzione del 3% della degenza ospedaliera. Insomma, tutto questo per dire che, con un numero di infermieri adeguato, i pazienti vengono curati meglio. Secondo i calcoli dei ricercatori, grazie all’aumento del numero degli infermieri, in due anni sono stati evitati 145 morti, 255 nuovi ricoveri e circa 30mila giorni di degenza. Con un risparmio di 33 milioni di dollari australiani (21milioni di euro).
Più infermieri, meno decessi, risparmio economico “importante” sul sistema sanitario: sono dati impietosi che evidenziano come le lacune della sanità italiana siano principalmente legate alla mancanza di personale infermieristico».