Nel 2021 il 18,3% dei sardi ha rinunciato a curarsi per problemi economici, costi crescenti dei servizi sanitari e difficoltà di accesso. Tali numeri sono la rappresentazione di come, anche in Sardegna, gli effetti della crisi economica stiano diventando sempre più evidenti, con migliaia di persone che, per diversi motivi, in primis la mancanza di risorse, non riescono ad accedere alle cure sacrificando, così, la propria salute. Preoccupa, soprattutto, l’aumento esponenziale di tali numeri: se nel 2017 la percentuale era del 12,5%, tra il 2019 e 2021, la percentuale è cresciuta del 6,6%, passando dal 14,8% al rilevato 18,3%.
Tutto ciò porta l’Isola in testa alla preoccupante classifica nazionale delle “persone che hanno rinunciato a prestazioni sanitarie per avendone bisogno”, seguita dall’Abruzzo con il 13,8% e Lazio e Molise con il 13,2%, contro una media nazionale dell’11%.
E’ questo ciò che rileva l’ANAP Sardegna, l’Associazione dei Pensionati Artigiani di Confartigianato, analizzando i numeri del dossier sull’accesso ai servizi sanitari regionali realizzato dall’Ufficio Studi di Confartigianato Imprese Sardegna, sui dati ISTAT del 2021.
«Il dolore se lo tengono, l’infezione non la curano, la salute dei denti è la prima a essere trascurata, ma anche il resto può aspettare – commenta Paola Montis, presidente di ANAP Confartigianato Sardegna – sono tantissimi i poveri e disoccupati ma anche anziani e pensionati con entrate minime, troppe anche le famiglie monoreddito o i lavoratori con salari poveri che nel 2021 non hanno potuto acquistare i medicinali di cui avevano bisogno o non sono potuti andare a farsi visitare.»
«Curare i disturbi di piccola e media entità è diventato un lusso per tanti – sottolinea Paola Montis – o per le liste d’attesa troppo lunghe, o perché non riesce a pagare le terapie. Un esempio lampante viene dalle cure dentali, con un aumento delle persone che perdono i denti e non li sostituiscono, anche perché l’odontoiatria in Italia è quasi esclusivamente privata.»
L’indagine, sempre secondo i dati ISTAT 2021, ha rilevato anche come il 53,4% degli utenti sardi abbia rilevato tempi di attesa per accedere ai servizi ASL superiori ai 20 minuti, contro una media nazionale del 45,2%.
«Insomma – continua la presidente dell’ANAP – emerge un quadro che, non per la prima volta, di un Sistema pubblico che non piace più, a cui ci si rivolge se proprio non se ne può fare a meno, anche a rischio di curarsi di meno. In generale, poi, c’è un forte clima di sfiducia, soprattutto perché difficilmente, guardando al futuro, ci si aspettano ulteriori tagli piuttosto che investimenti.»
Secondo l’indagine a livello nazionale, la povertà causata dalla pandemia ha provocato un aumento del 37,63 per cento delle persone per cui la salute è diventata un lusso. Nonostante l’universalismo del nostro Servizio Sanitario Nazionale, il 42,2 per cento della spesa farmaceutica è a carico delle famiglie, che nel 2020 (ultimi dati disponibili) hanno speso 8,7 miliardi di euro su un totale di 20,5 miliardi.
Secondo una recente analisi del Banco Farmaceutico, chi è povero ha in media un budget sanitario pari a 10,25 euro al mese, meno di 1/5 (17%) della spesa sanitaria di chi non è povero (60,96 euro mensili). Quando le risorse scarseggiano, la scelta delle priorità diventa indispensabile. E le cure dentali sono le prime a saltare. Per le famiglie povere ben il 62 per cento della spesa sanitaria (6,37 euro) viene destinato ai farmaci e solo il 7 per cento (0,75 euro) è dedicato ai servizi dentistici a cui, ovviamente si ricorre solo in caso di urgenza e non certo per la prevenzione. Le famiglie non povere, invece, destinano il 43 per cento del proprio budget sanitario mensile (25,94 euro) all’acquisto di medicinali e il 21 per cento ai servizi dentistici (12,6 euro).
Anche il welfare privato è in calo: quasi 7 milioni di prestazioni mediche in meno
Nell’ultimo anno, il valore pro-capite della spesa sanitaria privata si è ridotto da 491 a 458 euro all’anno e le famiglie italiane hanno dovuto rinunciare complessivamente a 6,9 milioni di prestazioni mediche private. Dopo il restringimento del welfare pubblico, dunque, anche il welfare privato familiare comincia a mostrare segni di cedimento. Tra il 2007 e il 2013 la spesa sanitaria pubblica è rimasta praticamente invariata (+0,6% in termini reali) a causa della stretta sui conti pubblici.
È aumentata, al contrario, la voce di spesa delle famiglie che pagano di tasca propria le spese per la salute e i servizi di cui hanno bisogno (out of pocket) per le quali il peso è avvertito come importante, tra cui: esami diagnostici e visite specialistiche, acquisto di farmaci, accesso al Pronto soccorso, visite domiciliari. I dati parlano del +9,2% tra il 2007 e il 2012, per poi ridursi del 5,7% nel 2013 a 26,9 miliardi di euro, di cui tre miliardi gli euro spesi dagli italiani per ticket sanitari nel 2013, con un incremento del 25% dal 2010 al 2013.
«A causa della crisi economica derivante dalla pandemia, molte persone sono state spinte in una situazione di indigenza, e chi già era povero vive ora una condizione di ulteriore marginalità – continua Paola Montis – per questo occorre intervenire pesantemente per ridurre questi numeri tristi e allarmanti. In ogni modo.»
Il dilemma è cosa fare per arginare questa deriva.
«Innanzitutto, sfruttare tutto ciò che arriva e arriverà dal PNRR – conclude la presidente Paola Montis – poi ridurre i ticket per tutte le fasce deboli, o in temporanea certificata difficoltà, scongiurare futuri tagli al Fondo Sanitario Nazionale e governare seriamente i tempi di attesa di tutte le prestazioni sanitarie e non solo di alcune come accade ora”.