ACLI Sardegna e IARES hanno presentato in diretta Facebook il rapporto sui dati rilevati da SWG sulla condizione e sugli stili di vita dei sardi nel 2021.
Come stanno i sardi e come sono cambiati i loro comportamenti nell’ultimo anno? A queste domande risponde Termometro Sardegna, il rapporto SWG – ACLI sulle condizioni e gli stili di vita dei sardi.
«Il termometro misura la febbre di una persona e indica lo stato della sua salute, analogamente con questa indagine misuriamo lo stato di salute dell’isola attraverso le risposte dei suoi abitanti confrontandole di anno in anno, in modo da anticipare possibili terapie», hanno sottolineato gli autori.
Nel rapporto 2021 si registrano alcuni importanti cambiamenti rispetto ai dati del 2020, cambiamenti in parte positivi e in parte negativi: vengono misurati la fiducia interpersonale, la percezione dello stato di salute e la partecipazione tra i 10 parametri sottoposti ad analisi dall’istituto triestino che da alcuni anni collabora con le ACLI sarde e il loro istituto di ricerca economica e sociale.
Primi dati – Crolla di 10 punti il livello di soddisfazione del proprio stato di salute: rispetto al 2017 quando il 57% dichiarava uno stato di salute buono o molto buono, sono solo il 47% nel 2021 (come nel 2020).
In linea con i dati sulla povertà assoluta e relativa, si dichiarano insoddisfatti della propria condizione finanziaria il 24% delle persone nel 2021 (erano il 23% nel 2020) ma sono in diminuzione rispetto all’insoddisfazione dichiarata nel 2017 quando erano il 33%. IL 56% dei sardi dichiarano di non avere preoccupazioni economiche mentre il 44% arriva con qualche o con molta difficoltà a fine mese. Solo il 5% delle persone dichiarano che la loro situazione personale è migliorata rispetto all’anno precedente, erano il 36% nel 2017, mentre per il 75% è rimasta invariata contro il 50% del 2017. Diminuiscono le persone che dichiarano alta soddisfazione o bassa soddisfazione, su salute, situazione personale ed economia, come se la pandemia le avesse orientate ad accontentarsi di quello che si ha senza lamentarsi troppo. Questo stato “mediano” se da una parte costituisce un elemento positivo di resilienza dall’altro pone due problemi nella prospettiva successiva: in primo luogo, per quanto tempo le persone possano covare al proprio interno condizioni di sofferenza senza effetti più gravi e negativi nel futuro? I dati sulla condizione economica di emergenza sembrano mostrare che, al di là dei dati sulla povertà, la rete finanziaria pubblica ha limitato i danni, ma quando l’economia riprenderà quanti saranno in grado di salire sui vagoni di quel treno dopo che le risorse pubbliche saranno terminate o sospese? In secondo luogo, questo “accontentarsi” può generare una lesione dello spirito di iniziativa o di ripartenza e costituire un freno individuale e collettivo che meriterebbe di essere analizzato e superato con interventi mirati sul piano individuale e collettivo.
Sul dato dei comportamenti è rilevante il crollo della partecipazione al voto che si salda con la fiducia interpersonale ridotta. Solo 1 sardo su 6 (sono il 17% nel 2021 contro il 62 del 2017) si fida del prossimo contro 2 su 3 del dato di soli 4 anni fa, e contemporaneamente sono quadruplicate le persone che dichiarano di non andare a votare mai o quasi mai. E sono i giovani a votare sempre meno (solo il 25% – rispetto al 45% del totale della popolazione – dichiara di votare sempre e il 14% mai). Un’analisi di questo dato sul fronte del capitale sociale indica una riduzione profonda e comporta un terreno sociale e civile molto più complicato e meno in grado di sostenere e accompagnare la ripresa economica.
In terzo luogo il male delle età: guardando i dati sulla soddisfazione finanziaria appare una fotografia solo a prima vista contrastante: una sensazione di agiatezza sino ai 24 anni, poi tra i 24 e i 45 anni un tracollo, una ripresa negli anni della maturità lavorativa, di nuovo un tracollo dopo i 55 anni e infine la pensione che lascia sereni ma insoddisfatti. La fotografia di una vita sempre sulla soglia del pericolo e della irrequietezza, che non può non lasciare il segno nei comportamenti delle persone, nella sfiducia, nella non partecipazione, nell’isolamento sociale, nella paura del futuro per se o per i propri congiunti.
Infine la pandemia sta lasciando conseguenze sul piano sociale e culturale che sono apparse in tempi brevi ma per il superamento delle quali, serve un lavoro lungo e profondo. Poniamo l’accento sul fatto che nonostante la rilevazione sia stata effettuata durante la fase conclusiva della pandemia, non è aumentata la solidarietà e la relazione sociale, non aumenta il tempo passato con parenti, amici e conoscenti e dove aumenta, si tratta di dati minimi. Ci si sarebbe aspettato un rimbalzo di socialità una volta aperte le porte, invece questo non è, o non è ancora, avvenuto. In secondo luogo è molto sensibile il dato sulla lettura, come indice culturale, perché la rilevazione mostra un aumento delle differenze: in quel tempo di chiusura o di limiti al movimento e alle relazioni, chi già leggeva ha letto di più, chi leggeva poco ha letto di meno.
I dati presentati dai ricercatori dell’istituto, Vania Statzu e Antonello Caria, sono stati commentati da alcuni importanti esponenti della cultura e della ricerca in Sardegna, in particolare hanno accettato l’invito delle ACLI, Antonello Cabras, presidente della Fondazione di Sardegna, il sociologo Nicolò Migheli, e l’economista Luca Deidda, entrambi editorialisti, la vicedirettora di Rai Parlamento Anna Piras, in un confronto coordinato da Silvio Lai, segretario generale delle ACLI, anch’egli autore del rapporto di ricerca. Ha aperto e chiuso i lavori il presidente ACLi Sardegna Franco Marras con il vicepresidente regionale Mauro Carta.