E’ appena iniziato ma procede già a marce forzate il Nurarcheofestuival, la rassegna organizzata dal Crogiuolo e diretta da Iaia Forte e Rita Atzeri.
Domani, venerdì 21 luglio, nel Santuario nuragico di S’Arcu ‘e is Forros a Villagrande Strisaili, alle 21.15, ecco arrivare un’altra signora del teatro italiano: Lucilla Giagnoni porta in scena MAGNIFICAT, un monologo da lei firmato (collaborazione ai testi di Maria Rosa Pantè, musiche di Paolo Pizzimenti) che rappresenta il terzo capitolo della sua Trilogia dell’umanità (che comprende anche Ecce Homo e Furiosa mente) e intreccia riflessione, poesia e ironia (produzione di CTB – Centro Teatrale Bresciano, Fondazione TPE).
“Femminile” e “Maschile” sono degli archetipi, cioè stanno all’origine di ogni pensiero conscio e inconscio, sono il substrato di tutta l’umanità, di tutta la vita.
Le fiabe che ci sono state narrate da bambini sono scrigni di archetipi, come gli antichi miti: la dea della terra e delle messi vaga per il mondo piangendo il rapimento della figlia prigioniera nel mondo di sotto, quello dei morti, ma viene risvegliata dal suo dolore e ride solo quando una vecchia contadina le mostra il suo seno e il sesso. A questa Terra fanno riferimento le ultime parole di una straordinaria preghiera/poesia: “Laudato sii mi signore per sora nostra matre Terra”, canta San Francesco. Terra è Humus, da cui la parola Homo, e non invece Donna, che viene da Domina, Signora. Homo, Humus, Humilitas, l’umiltà, cioè l’essere in armonia con la Terra. Ed è proprio l’umiltà ciò a cui ci chiama il “Cantico delle creature”. Ma l’umiltà, insieme alla lode, al ringraziamento, al servizio, è tra le prime parole di una preghiera/poesia ancora più antica, il “Magnificat”: “L’anima mia magnifica il signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva”. Solo se dalla Terra riemergerà il “Femminile”, ci sarà una possibilità per tutti di futura convivenza, nella beatitudine, cioè nella felicità.
Stesso giorno, ma prima, alle 20.00, sarà la volta di SETTE RESPIRI, scritto da Juri Piroddi con Cinzia Piras, Marzia Orrù, Giuseppina Mirigliani, Giuseppe Muggianu, Juri Piroddi e con Giuseppe Muggianu (chitarra e voce) ed Emanuela Lioy (violino), una produzione Rossolevante.
Secondo gli antichi, una decisione andrebbe presa nello spazio di sette respiri. Lo spettacolo intreccia una delle storie più famose della tradizione giapponese, quella della vendetta dei 47 Ronin (“uomini onda”, samurai decaduti, rimasti senza padrone) con la vita e le imprese di Gaetano Bresci, il regicida anarchico, il tessitore pratese tornato dall’America per vendicare i Morti di Milano del 1898. Bresci, il lucido, determinato, consapevole, ironico, elegante, preciso assassino di Re Umberto I di Savoia. Bresci, il Ronin italiano, l’ultimo Ronin, il Quarantottesimo. “Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio. Ho attentato al Capo dello Stato perché è responsabile di tutte le vittime pallide e sanguinanti del sistema che lui rappresenta e fa difendere”, disse.
Sabato 22, alle 20.30, Enrico Bonavera va in scena, sempre nell’area archeologica di S’Arcu ‘e is forros, con IL VINO E SUO FIGLIO, liberamente tratto da Il Navigatore del Diluvio di Mario Brelich (produzione compagnia çàjka – ETS). Bonavera è l’Arlecchino “ufficiale” del Piccolo Teatro di Milano, con il quale, in quasi quarant’anni di carriera, ha girato praticamente tutto il mondo. “Andato a bottega” da Ferruccio Soleri, oltre al virtuosismo nella recitazione con le maschere della Commedia dell’Arte, ha studiato le tecniche di narrazione popolare, sviluppando doti di affabulatore, che ha saputo sapientemente coniugare con quelle di mimo ed attore gestuale.
Protagonista assoluto dello spettacolo è il vino, il suo valore “mitico e sacro”, comica congiunzione tra “basso corporeo” e filosofia del palato e della vita. Quando un giovane diventa uomo? Nella nostra società sono ormai assenti i riti di trasformazione dall’adolescenza all’età adulta, quelli che venivano chiamati “riti di iniziazione”; ma il primo bicchiere di vino è ancora oggi testimonianza di una prova di passaggio: il fanciullo passa progressivamente dal latte materno, all’acqua, alla bevanda dei ‘grandi’. Il monologo ripercorre, attraverso il racconto di Sem, figlio primogenito, le tappe misteriose della scoperta del vino da parte di Noè e, tramite quello, del suo rapporto strettamente personale con Dio.