Questa sera, alle 20.30, al TsE di Is Mirrionis, in via Quintino Sella, a Cagliari, va in scena un nuovo appuntamento con la stagione 2024-2025 di Teatro Senza Quartiere, organizzato dal Teatro del Segno nell’ambito del progetto pluriennale Teatro Senza Quartiere / per un quartiere senza teatro 2017-2026, l’omaggio a Sergio Atzeni con “Io non lo so cosa sia giusto” , uno spettacolo ideato, diretto e interpretato da Stefano Ledda sulle note del sax di Juri Deidda e del contrabbasso di Tancredi Ermanno Emmi, liberamente ispirato alle opere dell’autore de “Il figlio di Bakunìn” e “Apologo del giudice bandito” , “Passavamo sulla terra leggeri” e “Il quinto passo è l’addio” (produzione Teatro del Segno).
Si tratta di un’antologia preziosa per raccontare l’Isola attraverso le parole dello scrittore e poeta che ha saputo descrivere i molteplici volti di Cagliari, la “città bianca” e reinventare una memoria mitica, affidata ai custodi del tempo, accanto all’epopea mineraria ea un’invasione delle locuste al tempo dell’Inquisizione. La scrittura evocativa e lirica, ma anche ironica e crudele di uno dei più interessanti autori italiani del Novecento, per un affresco “corale” della terra al centro del Mediterraneo, in un viaggio ideale alla scoperta delle origini e dell’identità: i discendenti degli antichi costruttori di torri, definiti poco cortesemente “pocos locos y mal unidos” dai conquistatori spagnoli, nei secoli hanno visto succedersi invasioni e dominazioni straniere. Nei e nei racconti di Sergio Atzeni, accanto alla Storia affiorano le vicende individuali, l’autore disegna nitidamente i caratteri dei personaggi, narra ingiustizie e soprusi e tentativi di riscatto, spaziando tra cronaca e noir, tra note autobiografiche e scomode verità.
Un recital avvincente e un’opportunità per riscoprire la prosa ammaliante e caustica dello scrittore, figura di spicco della letteratura sarda e non solo, capace di raccontare il degrado e lo squallore delle periferie metropolitane e la dura vita dei minatori, costretti duramente per strappare alla terra i suoi tesori e a lottare per i propri diritti, di avventurarsi tra le cronache del passato e attingere a miti e leggende, per offrire l’immagine di un’età remota in cui gli abitanti della Sardegna vivevano in armonia con la natura e – come racconta il vecchio Antonio Setzu – «a parte la follia di ucciderci l’un l’altro per motivi irrilevanti, eravamo felici» .