Stefano Udassi da bambino voleva giocare per la Torres. Non è stato facile, ma ce l’ha fatta. A 28 anni il suo sogno calcistico si è realizzato. È stato bomber, bandiera e capitano rossoblù. Oggi è il presidente della società griffata Abinsula, ma quando parla dei suoi esordi, del supporto avuto dalla sua famiglia, del suo approcciarsi al calcio e alla vita, Stefano Udassi si commuove, salvo poi trasmettere fra sguardo e parole tutta la grinta possibile ai suoi giovani interlocutori dell’under 17 Torres.
È accaduto ieri, nel cuore pulsante del “Vanni Sanna”, nelle segrete e sacre stanze dello spogliatoio sassarese, quello in cui la prima squadra vive gli istanti precedenti, successivi e centrali del match domenicale. Primo appuntamento del percorso formativo che prende il nome di progetto S.E.F. (Sport, Educazione, Formazione), iniziativa promossa dalla Fondazione Torres, sposata dalla Torres e destinata ai giovani dell’under 17 di mister Mario Desole. Un vero e proprio master il cui filo conduttore è il rispetto e i relatori sono personalità sportive e non chiamate a sviluppare il tema.
Stefano Udassi si siede in mezzo ai ragazzi: non parla, racconta. Non insegna, consiglia. Tanti di loro diverranno giocatori, alcuni professionisti: lo dice la statistica. Alla presenza del presidente della Fondazione Torres Umberto Carboni, del responsabile del Settore Giovanile Luca Raineri e di Pierluigi Pinna della proprietà Abinsula che ha raccontato loro la storia della sua azienda. E ancora, la Cultura della sconfitta, l’anteporre sempre il noi squadra davanti all’io, allenatori (da Bebo Leonardi a Sassari alla fiction su Carletto Mazzone), la vita da sportivo di un calciatore grintoso ma irreprensibile perché “i valori alla base dell’uomo ne determinano anche il comportamento da sportivo”.
Risalire la china dopo un brutto infortunio, saper accettare i no, la panchina e la tribuna. Coniugare vita, sport, studio, professione e affetti. Lavorare per migliorarsi ed essere i migliori, non frasi fatte ma obiettivi da raggiungere. Il tutto permeato di rossoblù, perché la storia della Torres è dolce fardello da portare, perché la maglia è vessillo orgoglioso da indossare. Perché la tradizione è la forza del presente e chi rappresenta il futuro della Torres deve conoscerla e rispettarla.