È tra i giocatori più amati di sempre, rimasto nel cuore dei tifosi non solo per le prodezze cestistiche – e qualche buzzer beater rimasto nella storia del club – ma anche e, soprattutto, per le doti umane. Drake Diener è sicuramente uno dei dieci giocatori che hanno contributo in maniera significativa a scrivere la storia recente della Dinamo ed è per questo che è stato inserito nelle Dinamo Legends last 10 years. Intervistato da Dinamo Tv ManDrake, che dopo aver appeso le scarpe al chiodo sta muovendo i primi passi da coach, ha ripercorso le tre stagioni in maglia biancoblu: l’emozione e l’affetto per Sassari e per la sua gente si legge chiaramente nelle sue parole.
Drake Diener. Man-Drake è approdato sull’isola nella stagione 2011-2012 alla corte di quel coach Meo Sacchetti che per lui è sempre stato più di un allenatore, un mentore, un padre. Potremmo raccontarvi delle sue prodezze in campo, dei buzzer beater mozzafiato che hanno regalato tante emozioni al PalaSerradimigni, potremmo raccontarvi di come sia stato protagonista anche lui di quella Gara 7 che ha incoronato il Banco campione d’Italia, perché la preghiera allo scadere sul punteggio di 75-73 fu lui a scagliarlo in maglia Grissin Bon. Ma di Drake resta impressa soprattutto la sua storia umana, la sua determinazione, la sua incredibile voglia di lottare, la contagiosa sensibilità. Per ManDrake, mago capace di tirare fuori dal cilindro una magia in qualsiasi momento, lo sport è sempre stato una ragione di vita anche quando, nel 2005, al termine dell’Università è stato colpito dal Morbo di Crohn che lo ha costretto a uno stop forzato di un anno e, a differenza del cugino Travis, gli ha compromesso la partecipazione all’Nba. In quell’anno Drake ha lottato per reagire alla malattia e ha vinto: nel 2006 la sua rinascita è passata per l’Italia – a Castelletto Ticino – dove ha trovato un mentore come coach Meo Sacchetti. Da quel momento la strada di DD è diventata in ascesa: acme della sua carriera è stato raggiunto sicuramente a Sassari dove, nella stagione 2013-2014, ha vinto la prima Coppa Italia da protagonista ed è stato nominato Mvp del campionato. Tra le sue prodezze restano scolpite nella memoria il buzzer beater in Gara2 playoff contro Bologna, da quella mattonella del PalaSerradimigni che è diventata la sua, quello contro Cantù, il canestro da metà campo contro l’Olimpia Milano in Coppa Italia, i 44 punti contro la Reyer Venezia e l’incredibile primo quarto di Gara2 playoff contro Brindisi, con 7 bombe in 10’. L’amore tra Drake e Sassari non è mai finito, qui sono nati i suoi figli, e ManDrake non ha celato l’emozione nel tornare da avversario. Nella memoria degli addetti ai lavori restano impresse le sue lacrime in sala stampa al termine di Dinamo-Reggio Emilia nel dicembre 2014, alla prima con una maglia diversa. Lacrime che hanno iniziato a solcargli il viso e la voce spezzata dall’emozione: la sintesi di un legame indelebile tra il mago di Fond du Lac e l’isola, l’immagine di un uomo prima del giocatore.
Quali sono i tuoi ricordi nei tre anni a Sassari?
«Con la Dinamo abbiamo fatto tante cose belle, sono stati tre anni magici. Quando sono arrivato la prima volta non era la società di oggi, si parlava della salvezza come obiettivo…nel giro di pochi anni la Dinamo è arrivata a un livello molto alto. Il mio primo anno era incredibile, non c’era pressione non c’erano aspettative: ricordo che la prima parte del campionato non era stata eccelsa, poi invece a dicembre si è acceso qualcosa, è arrivato Easley e la seconda parte è stata magica.»
Il tuo rimpianto in maglia Dinamo?
«Sicuramente pensare a Gara 7 contro Cantù fa ancora male, perché quell’anno avevamo costruito una buona squadra e disputato una regular season incredibile. Eravamo un grande gruppo, come in tutte le mie stagioni ma quell’anno abbiamo chiuso la stagione regolare al secondo posto. Abbiamo controllato la serie con Cantù vinto con vantaggio ampio in casa, la gara 6 da loro era un casino abbiamo sfiorato la vittoria e poi invece il clima caldo del Pianella ha indirizzato la partita. Abbiamo perso fiducia e in Gara 7, tipica gara da dentro-fuori, loro hanno giocato senza niente da perdere mentre noi abbiamo pagato la pressione. Mi fa ancora male se ci penso.»
Se ti dico Final Eight 2014 cosa mi dici?
«Che esperienza! Nelle prime due partecipazioni abbiamo perso ma negli anni abbiamo lavorato tanto insieme con lo zoccolo duro, con Manuel, Brian e Jack, per costruire un buon gruppo e arrivare al momento in cui abbiamo vinto qualcosa di importante. È stata una bella sensazione, ricordo sicuramente la prima partita con Milano, è quella che ho più nitida: sapevamo di giocarci il tutto per tutto, nessuno pensava che potessimo vincere. Loro erano favoriti e noi non abbiamo brillato nel primo tempo mentre nel terzo tempo abbiamo messo canestri difficili, lasciandogli tutta la pressione. Nei due giorni dopo abbiamo battuto Reggio Emilia e poi c’è stata la finale incredibile con Siena che in quegli anni aveva vinto tutto ed era la squadra da battere.»
Quali sono i giocatori con cui ti sei trovato meglio?
«Mi ritengo molto fortunato per aver trovato un gruppo incredibile e una condizione ideale dentro e fuori dal campo. Eravamo un gruppo che voleva vincere a tutti i costi ed era felice di giocare insieme, muovendo tanto la palla. Per questo la pallacanestro giocata in quegli anni era incredibile. Il tiro più importante? Per me la tripla di Vanuzzo contro Bologna che ha chiuso la serie con il 3-0. Ricordo che dopo le due vittorie in casa ero stanco e consapevole che una sconfitta in Gara 3 avrebbe riaperto la serie. L’entusiasmo e la gioia provata non si può spiegare.»
Sei considerato un esempio sotto il profilo dell’etica del lavoro…
«Ho sempre avuto una grande etica del lavoro, ho sempre preso molto seriamente il mio lavoro, focalizzato per dare il massimo. Non mi sono mai preoccupato dello spettacolo ma sempre concentrato sull’essere un buon giocatore, provando sempre a migliorarmi dalla difesa al passaggio. Era la mia priorità durante le partite, in allenamento: questo mi ha permesso di crescere un po’ ogni anno.»
Qual è il tuo quintetto ideale?
«Ovviamente Travis, il playmaker è il ruolo più importante: io e lui giochiamo due ruoli diversi ma con la stessa mentalità cestistica. Vogliamo che la palla si muova, vogliamo tirare ma soprattutto passare e il coinvolgimento dei compagni è il modo più bello di giocare. Caleb è stato un giocatore incredibile, non solo per i tanti punti e le sue prodezze ma la sua passione e fiducia sul parquet unita alla sua personalità era perfetta per noi. Jack, il capitano Manuel e Brian erano dei punti di riferimento: le persone che segnano tanto si sono importanti ma chi ogni giorno lavora per fare le piccole cose e dare un grande contributo per essere parte della squadra è fondamentale. Potrei dire tanti giocatori ma credo che questi siano stati i più importanti.»
Com’è la vita da coach?
«La passione per la pallacanestro ovviamente è un grande motore, sto imparando tante cose: sono un allenatore giovane e lavoro per essere il migliore possibile. Sono contento di lavorare per la mia università, non abbiamo vinto tanto ma stiamo costruendo per il futuro. Abbiamo una squadra giovane e un bel gruppo che vuole giocare insieme e fare qualcosa di importante. Ho fiducia che cresceremo insieme e miglioreremo di anno in anno.»
Che ricordi hai di quel Gianmarco Pozzecco che oggi allena la Dinamo?
«Ho giocato con lui nella stagione 2007-08, nel suo ultimo anno da giocatore, è stata una bella esperienza. È davvero una bella persona.»
Cosa rappresenta Sassari per te?
«Sai sono tante, troppe, le persone che mi vengono in mente per nominarle: sicuramente Imma e la sua famiglia, ma davvero lì ho lasciato una famiglia. È difficile spiegare cosa sento per tutte queste persone e per la società, l’affetto dei tifosi e dell’ambiente è qualcosa di incredibile, un posto con un cuore enorme: sarà sempre un posto speciale per me e in futuro voglio tornarci spesso.»
Fonte: www.dinamobasket.com